93. Gatekeeping

black metal opened gate near bare tree
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In questi giorni una delle gioie maggiori che sto provando è nel vedere persone a me vicine e non scoprire il mondo di Sandman e imparare ad apprezzarlo o addirittura amarlo quanto lo amo io.

Non so descrivere il piacere che provo nel poter condividere impressioni, raccontare retroscena, rispondere a curiosità ma, soprattutto, nel poter parlare di qualcosa che in precedenza era precluso, perché semplicemente non era conosciuto.

È la meraviglia delle storie e della cultura in genere, sia essa sotto forma di racconto televisivo, cinematografico, di fumetto o libro, di fotografia, di arte pittorica, di musica: condividere significa arricchire se stessi per le impressioni di occhi e orecchie nuovi e, ovviamente, arricchire nuove persone che si approcciano a un mezzo.

D’altronde non avrei iniziato dei podcast e non terrei questo blog se non amassi condividere e diffondere il poco che so.

Ecco, proprio riferito a Sandman, in questi giorni Gaiman ha dovuto precisare che nessuno può fare Gatekeeping al riguardo: non chi l’ha approcciato col fumetto, chi è fan della prima ora, chi l’ha conosciuto con l’audiolibro e tanto meno chi ora lo scoprirà come serie.

Ed è assurdo che vada specificato, ma è altrettanto vero che nel mondo nerd (ma, mi dicono, anche ad esempio in quello musicale) si tratta di una situazione fin troppo diffusa.

Io non so perché avvenga, se per la frustrazione di essere stati emarginati per le proprie passioni prima che diventassero mainstream o per un senso di possesso mal riposto nei confronti di un qualcosa che non è e non potrà mai essere di proprietà esclusiva, fatto sta che c’è ed è ricorrente.

Sedicenti fan che decidono che se una persona non sa esattamente in che numero di una serie un personaggio si è grattato il naso con la mano sinistra allora non possono definirsi appassionati.

Perché?

Perché arriva a dare così tanto fastidio che qualcun altro si appassioni a qualcosa che amiamo?

Io me lo ricordo bene com’era negli anni ’90, quando leggere fumetti era da sfigati e non avevo con chi parlarne: le poche volte che incrociavo qualcuno o che qualcuno si incuriosiva erano feste vere. Non mi sembrava vero.

La prima volta che andai a una convention fumettistica (la prima edizione della defunta Comiconvention di Milano nell’ottobre 1991, dove vidi per la prima volta un’amica di penna che fu anche il mio primo bacio mancato per mia totale stupidità, ma sto divagando…) sembrava di essere a casa perché finalmente avevo persone con la mia stessa passione.

Quando si è iniziato a fare gatekeeping nel mondo nerd? Presto, ne sono sicuro, ma quando e perché? Che senso ha? Essere più titolati? Sentirsi superiori per qualche motivo? È davvero solo questo? Aver bisogno di far pesare un senso di superiorità solo perché per questioni di combinazioni generazionali e fortuite abbiamo avuto modo di accedere prima di altri a un certo fumetto/libro/film/artista?

E non sto ancora accennando a quanto questo atteggiamento sia ancora più evidente se si parla di un’appassionata. In quel caso è il delirio, perché guarda caso il nerd che fa gatekeeping è spesso e volentieri anche un evidente misogino: una donna non può amare certi videogames, figuriamoci essere brava, non può amare i fumetti se non perché le piacciono gli attori dei film, non può avere collezioni che non siano di un fratello/padre/fidanzato.

E quindi, di nuovo, la necessità di sentirsi maschi alfa (sì, è insulto e lo sarà sempre, per quanto mi riguarda), non importa se in una nicchia che da sempre è stata minoritaria: l’importante è sentirsi superiori a qualcuno, soprattutto se donna.

No.

Semplicemente no.

Potrei facilmente fare gatekeeping nei confronti di molti di questi sedicenti fan. Potrei, anche solo per dare loro una lezione.

Ma mi dà molta più soddisfazione lo sguardo incuriosito di chi scopre qualcosa che non sapeva. O la gioia di qualcuno che mi dice che ha comprato un volume dopo che gliene ho parlato. O il divertimento di sapere che arriverà un momento con un evento preciso che scatenerà reazioni e attenderle con curiosità per poi poterne parlare insieme.

Quindi facciamo così: noi ora andiamo a sederci a un tavolone. Io e tutti i nerd di vecchia data o di ieri, non ha importanza, basta che si voglia chiacchierare. Ci ordiniamo pizze, birre, coche e tutto quello che ci va e passeremo la serata a ridere e raccontare.

Voi badate al cancello, ok?

E se arriva qualcuno indicate il nostro tavolo, che c’è e ci sarà sempre posto.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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2 risposte

  1. ironicmoka ha detto:

    Mah, quel tipo di comportamento non è specifico solo della cultura nerd; è un fenomeno sociale che si registra da sempre: investire tempo e passione (o anche solo tempo) in qualcosa di specifico porta le persone a auto proclamarsi depositarie di una conoscenza a cui gli altri dovrebbero dedicare altrettanto tempo e passione per potersi avvicinare. Capitava con la letteratura, con la conoscenza scientifica. Su quest’ultima, in particolare, approfitto della scomparsa recente di Piero Angela a cui hai dedicato il post precedente per fare un distinguo: il gatekeeping di cui parli qua è lo stesso meccanismo, per esempio, che viene messo in pratica quando dei medici utilizzano termini complessi e oscuri per il solo scopo di reiterare la propria posizione sociale di depositari di un tipo specifico di conoscenza escludendo così i non depositari dal dialogo. Piero Angela è un esempio di divulgatore che senza compromettere l’autorevolezza del discorso scientifico ha fatto da mediatore per permettere a un pubblico non specializzato di fruire di alcune di queste conoscenze (e meraviglie).

    Il linguaggio (e la conoscenza approfondita di qualcosa come rito iniziatico senza il quale non si può affrontare un argomento superficialmente, anche se per un prodotto culturale di massa come il fumetto) è da sempre uno strumento di gatekeeping, come rilevato già da Goffman nei primi studi sociali degli anni ’60.

    Insomma: niente di nuovo sotto il sole. Quando qualcosa sollecita e richiede investimenti emotivi al punto da diventare parte della propria costruzione identitaria (di Nerd, di appassionato, di una cerchia depositaria di una conoscenza non mainstream) purtroppo è frequente (ma non scontato né inevitabile) che a questo si accompagnino i più banali meccanismi di autodifesa dell’in-group dall’out-group (che a sua volta è un meccanismo di rafforzamento dell’identità).

    • Aries ha detto:

      Tutto vero, assolutamente, ma anche da questo punto di vista ci sono comportamenti molto diversi e opinabili a livello differenti. Se posso capire chi si sente più “preparato” e titolato su un certo argomento e in qualche modo lo renda parte della propria identità, resto convinto che quando si parla di arte e cultura significhi impoverire invece che arricchire, ma so che anche tu la pensi nello stesso modo. Mi piacerebbe che soprattutto i nerd imparassero e capissero, più degli altri, ecco.

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