Di porte aperte e chiuse
Io ho sempre detto di essere un esperto nel potare i rami secchi nella vita e, per molti versi, è vero. Se faccio mente locale alle persone che erano una presenza fissa negli anni e nei decenni passati finisco per accorgermi di quanto molti siano usciti dalla porta o dalla finestra e pochissimi siano una costante da una ventina d’anni.
Questo, però, non significa che tale potatura avvenga mai a cuor leggero, anzi: prima di rendermi conto che una persona non ha più spazio nella mia vita devo sbatterci la faccia parecchie volte o devo vedere comportamenti tanto gravi da non poter essere più tollerati; il fatto poi che tali comportamenti abbiano un peso maggiore se tenuti verso altri piuttosto che verso me stesso, beh, la dice lunga su alcune mie priorità e non è questo il post per parlarne.
Fatto sta che ogni decisione di chiudere è stata dolorosa, magari non sul momento per il percorso che ha condotto a raggiungerla.
Questo quando la decisione è stata mia.
La situazione opposta mi è capitata ben più raramente, sostituita da un ghosting ante litteram per cui, a un certo punto, le persone sparivano (e spariscono) se non sono io a farmi sentire: anche qui, comunque, una cartina tornasole notevole sulla qualità di un rapporto.
Ciò che però ho vissuto negli ultimi sei mesi è qualcosa di ben diverso e che non mi era mai capitato prima: una persona a cui volevo un bene dell’anima, con cui c’era stato molto ed era elemento fondamentale nella mia vita mi ha letteralmente buttato fuori da un momento all’altro. O, meglio, mi ha sbattuto inaspettatamente e violentemente una porta in faccia, l’ha poi socchiusa e ha deciso di prendersi tempo ad libitum per decidere se da quella porta voleva rientrare.
Un tempo che, oggi, equivale a sei mesi.
In questi sei mesi la mia vita è cambiata molto. Sono arrivati nuovi amici, nuove persone che si sono ritagliate un loro ruolo e tutt’ora è un flusso dinamico che non è ben chiaro come si assesterà. Ho incontrato per la prima volta (o rivisto) persone splendide, ho fatto gite, ho pianificato progetti.
Ma quella porta socchiusa è rimasta lì, a tormentarmi.
Oggi l’ho chiusa.
L’ho chiusa facendomi una piccola violenza, perché l’idea di non avere risposte alla banale domanda “perché?” è un qualcosa che disturba ogni fibra del mio essere, ma prima o poi dobbiamo fare tutti i conti col fatto che non sempre (anzi, quasi mai) il “perché” sarà messo a nostra disposizione. A volte non c’è, altre c’è ma non ci soddisfa, altre ancora non è interesse di nessuno farcelo sapere. Frustrante, irrispettoso, ingiusto quanto vogliamo, ma non cambia lo stato delle cose.
Quello che noi possiamo fare è decidere che va bene così. Che le cose sono andate come sono andate e che saperne il motivo non cambierà nulla. Perché è così: il sapere il motivo di qualcosa potrebbe darci un’epifania, ma il più delle volte è un’illusione. Il più delle volte non disseta quel bisogno di una conclusione appagante.
Quindi a un certo punto basta aspettare. Basta essere a disposizione di chi si è preso sei mesi (in questo caso). Basta lasciare che quella porta di accesso a voi sia ancora disponibile: la maggior forma di rispetto che potete (possiamo) avere verso noi stessi è permetterci di non essere in balia di qualcuno che evidentemente non ha interesse al darvi quella conclusione.
A un certo punto la porta socchiusa va spinta e va girata la chiave, senza ascoltare se ci sono rumori dall’altra parte e ignorando se prima o poi si sentirà bussare.
È (ed è stata in questo caso per me) una scelta difficile, perché l’attesa non è mai definitiva, l’azione sì. E agire può far sembrare di aver chiuso possibilità che inconsciamente ci tenevamo. Non è così. Quelle possibilità sono state tolte da tempo e considerarle vive è solo un autoinganno. Agire significa accettare la loro inesistenza, prendere atto definitivamente e concedersi di dedicare il proprio spazio mentale ed emotivo a ciò che effettivamente c’è, non a ciò che ci sarebbe stato se.
È necessario. Doloroso, difficile, ma necessario.
Oggi la porta si è chiusa, che in casa mia decido io chi può entrare.