Di cerchie, bolle e rotondità varie
Non mi metterò a commentare (per ora) la gestione indecente della pandemia da parte delle autorità a tutti i livelli, ma non dubito che accadrà così come già avveniva durante il (primo?) lockdown.
Oggi però vorrei focalizzarmi su un’altra cosa, una serie di pensieri che periodicamente tornano a riproporsi e che in questo periodo per vari motivi sembrano essere più attuali che mai.
Parto da lontano.
Ai tempi in cui Snapchat era la piattaforma più cool molti la chiamano “social network”, mentre in realtà non lo era. Era un’app di chat che aveva funzionalità che permetteva di interagire anche con più persone contemporaneamente e di avere una sorta di pubblico. Ma non era un social network perché le interazioni erano sempre tra due singole persone e perché non c’era modo, ad esempio, di ricondividere, di menzionare, di fare girare i propri messaggi. Mancava la condivisione per essere un social. L’esatto opposto di ciò che fa Tik Tok ora, per capirci, dove la condivisione è tutto e i contatti diretti molto più ridotti.
Ora, per ovviare in qualche modo a quella situazione, la gente iniziava a menzionarsi a voce, a citarsi, a rimandare gli uni agli altri: un meccanismo in qualche modo funzionale, ma che favoriva un effetto collaterale facile e immediato, la costruzione di bolle autoalimentate.
Dopo un po’ i giri erano nettamente definiti e tutti in quel giro si menzionavano tra di loro, si dicevano quanto erano bravi, addirittura si parlavano a distanza. Gli esterni non esistevano, era difficilissimo che qualcuno venisse inserito, ancora più difficile che si guardasse al di fuori.
Nulla di grave, di per sé, i gruppetti si sono sempre formati dappertutto (e io sono sempre o quasi stato quello esterno), ma quando questo avviene in una piattaforma in cui si inizia a comunicare altro oltre al cazzeggio ecco che diventa un problema.
Ma Snapchat è ormai morto, mi serviva solo come esempio di qualcosa che si ripete.
Flashforward a oggi.
Instragram e le stories hanno preso da tempo il posto di Snapchat, con capacità di condivisione che ovviano a parte dei problemi che aveva la vecchia piattaforma, eppure certi meccanismi non cambiano e, per certi versi, sono anche peggiori.
Su Instagram abbiamo da una parte decine di persone (influencer, per usare una parola tanto apprezzata quanto odiata) con un enorme seguito. E abbiamo alcune comunità o, meglio, giri di persone che si sono formati per interessi, convinzioni, problemi, background comuni e che sono attivissimi (fortunatamente) nella condivisione di contenuti, nella sensibilizzazione su argomenti spesso sconosciuti al di fuori, nella – perché no – educazione delle persone.
Io stesso ho imparato e sto imparando tantissimo.
Il problema quindi dove sorge? Quando queste bolle si chiudono. Quando le persone attive (usato qui col significato di chi produce contenuti) hanno costituito una rete più o meno sigillata in cui la comunicazione si rimpalla costantemente tra i membri stessi. Qualcuno o qualcuna dice qualcosa, altri del gruppo la riprendono, si danno vicendevoli pacche sulle spalle, si dicono quanto sono bravi. E in quel momento si perde qualcosa. Si perde la capacità di vedere altro. Si perde il desiderio di mettersi in discussione. Si perde la consapevolezza che al di fuori di quella bolla le cose potrebbero essere molto diverse.
Questo, se avviene tra persone senza pubblico, può essere un non problema: io lo so di avere una bolla di contatti e amicizie molto simile a ciò che sono e che il mondo al di fuori è parecchio diverso. Lo so, ne sono consapevole, lo cerco perché mi permette di staccare dallo schifo esterno, ma non mi sognerei mai di considerarlo un campione rappresentativo della realtà.
Quando si ha un pubblico molto ampio questo discorso diventa molto più delicato e pericoloso, perché il pubblico questo ragionamento spesso non lo fa: vedono un tot di persone che appartengono allo stesso giro e che si richiamano tra loro e pensano che quello sia tutto. E fanno il passo successivo, ovvero iniziare la parte in cui si idolatra chi si segue indipendentemente da ciò di cui parla.
Facciamo un esempio. Supponiamo che domani io abbia migliaia di follower su instagram che si sono appassionati, non so, a Polo Nerd, ad Astronomiti o al romanzo. E supponiamo che abbia un giro di persone con cui ci menzioniamo e alimentiamo a vicenda dandoci autorevolezza.
Io, nonostante quei numeri, sarei e resterei sempre competente delle cose su cui lo ero prima, ma chi mi seguirebbe inizierebbe a pensare istintivamente che il mio parere su altri ambiti sia importante e “vero”. Non sarebbe così. Sarebbe esclusivamente la mia opinione e sarebbe mia responsabilità fare capire che mentre parlando di Frank Miller o della Marvel posso considerarmi adeguatamente titolato, se mi metto a parlare di economia o di salute pubblica posso farlo soltanto da persona dotata di raziocinio con le informazioni che tutti hanno a disposizione. Senza. Alcuna. Autorità.
Ecco, quando si forma la bolla di cui sopra e quando i numeri salgono è responsabilità di chi in quella bolla vive di prendersi carico del modo in cui comunica e del non approfittarsi del “potere” che ha in mano.
Ma chi segue dovrebbe iniziare a porsi qualche domanda in più. Se vedete nominate sempre le stesse persone va benissimo ascoltarle (di solito le bolle si formano anche per competenza e questa non va assolutamente dimenticata o sminuita), ma cercate di diversificare. Cercate di cercare anche altre persone su altri temi. Cercate di capire la differenza tra parere personale e informazione autorevole. Non sono la stessa cosa e il fatto che una persona sia estremamente competente in un ambito non la rende automaticamente tuttologa.
Fuggite dai tuttologi, sempre e comunque.
Alcune note a margine, perché non si possa fraintendere:
- può sembrare che mischiare il discorso delle bolle comunicative e quello di chi ha molti follower sia azzardato, ma invece gli influencer “singoli” non esistono praticamente più. Tutti hanno una rete. Alcuni più di una. Alcune volte questa rete è molto stretta, altre più ampia, ma tutte sono esistenti, attive e necessarie all’esistenza stessa di influencer e social.
- questo discorso non ha nulla a che fare con quello legato all’uso degli influencer per condividere arte e messaggi, anzi. Sono convinto che sia un ottimo e necessario modo per aumentare il pubblico ricevente.
Le bolle non sono il male. Il fare rete tra persone con stessi interessi, background e impegno non è il male. Tutt’altro. Ben vengano. Ma ci si deve ricordare sempre che sono bolle e che per essere veramente utili e importanti devono influenzare e interagire col loro esterno.
Altrimenti la loro funzionalità si sposta dal portare avanti un messaggio al sostenere la bolla stessa.
E questo, più che un male, è uno spreco enorme di potenzialità.