Non sempre camminare fa bene. Forse.

Ieri sera ero fuori a camminare un po’. Non mi capita spesso in questi giorni, troppe cose da fare e la sera finisco per essere stanco, ma ieri me lo sono imposto.

E come spesso accade, ormai, quando cammino da solo e con la musica nelle orecchie, una forte malinconia, un magone non sempre gestibile, si fanno vivi.

È strano come qualcosa che prima mi faceva solo stare bene ora riesca ad avere un gusto così agrodolce, perché sì, mi fa ancora stare bene, ma al contempo mi lascia in balia di tanti, troppi pensieri ed emozioni che si sono accumulati negli ultimi mesi se non di più.

Sì, sicuramente la colpa è del lockdown, che ha moltiplicato per cento molte emozioni negative già residenti e che ci ha aggiunto decine di carichi, estirpando ciò che invece le riusciva a tenere a bada: i viaggi, i progetti, gli spettacoli, il modo stesso di vivere le cose. E anche, non lo nego, l’ignorare qualcosa che magari c’era ma era più “gestibile” perché compensata da altro.

Tutto è cambiato, banalità del secolo, e il gestirlo non sempre è facile, a partire dal mio rapporto con la solitudine. Dopo mesi in cui è stata forzata, ora ha un altro volto, altre configurazioni e un peso molto diverso. Il che non significa non star bene da solo, assolutamente, ma significa che si è ridotta drasticamente la possibilità di scegliere di non esserlo: e il problema sta sempre lì, non nel fare o non fare qualcosa, ma nel non poter scegliere se farlo o meno.

E quindi c’è la mancanza.

Io vivo nella mancanza, caratterialmente e per esperienza di vita. C’è chi non si guarda mai indietro, io penso di avere una webcam incollata dietro la testa che mi mostra costantemente ciò che era. C’è chi vive solo nel passato, io no. Ma il passato è parte di me, di chi sono e continua a stare in me.

Ma le mancanze sono tante.

Qualcuno forse più saggio di me ha detto che le cose non durano ed è per questo che contano. Probabilmente è vero, ma dato che mentre le viviamo lo facciamo non pensando al fatto che finiranno è una consolazione un po’ di merda, no?

La mia vita è piena di molte cose e lo è sempre stata, ma è anche piena di spazi lasciati vuoti da persone, animali, luoghi, momenti che non ci sono più e non possono tornare, perché anche i luoghi, quando torni, non sono più gli stessi.

Fiera della banalità, oggi, vero Sergio?

Eh sì, amen.

E quindi cammino e penso a quanto mi manchino Lupo, Funi, Lucky, Stitch, Zen. Penso a quanto mi manchino i miei genitori, anche se so che litigheremmo ogni giorno. Penso ai rapporti con amici che non sono più nella mia vita ma che per lunghi periodi sono stati “quegli” amici. Penso a New York, che chissà se e quando rivedrò, a Londra, che probabilmente rivedrò ma chissà cosa sarà lei e cosa sarò io.

Penso ai “c’è questo spettacolo, andiamo?” e un secondo dopo comprare i biglietti. Penso alle risate con una bottiglietta d’acqua sotto i portici a Bologna. Penso a Lucca, a quel che era, a quello che forse sarà quest’anno, a quello che non sappiamo se sarà più. Penso alle emozioni di un primo bacio. Ai sì. E anche ai no. Al sentirsi desiderati e desiderare. Penso ai fuochi d’artificio sul Jubilee Bridge o al bagno a Coney Island. Penso alla prima volta che ho messo piede a Londra e a New York. Penso al Timanfaya, al vento di Fuerteventura, ai 1200 km di guida a Creta, a Kos. Penso al Brachiosauro a Berlino.

Penso alle cene forumiste. A quel pranzo a Marano in cui eravamo più di trenta e facevamo le vagonate per andare a prendere la gente in stazione. Penso alle serate in spiaggia in gruppo. Penso a vedere Endgame al cinema innumerevoli volte. Penso al darsi appuntamento in aeroporto a destinazione. Penso ai piani di viaggio. Penso alle colazioni da Birch o da Costa. Penso a Sogno di una notte di mezza estate e anche allo spettacolo a Berlino in tedesco. Penso all’aspettare gli attori dopo uno spettacolo. Penso alle notti a Selvino. Penso al Pride nel caldo assurdo.

Penso ai contrattempi che diventeranno aneddoti, ai Warner Bros Studios, al cast di Saranno Famosi, a David Tennant, a Andrew Scott, a Ian McKellen, Rory Kinnear, a Gwendoline Christie, a David Suchet.

Penso ai picchi di felicità estasiante, quelli che ti fanno sentire ubriaco di vita e che quasi ho scordato come siano. Penso al sentirsi fondamentale per qualcuno. Penso al pensiero che “c’è sempre tempo”, che cerco di continuare a fare mio, ma è sempre più difficile. Penso al cantare a squarciagola in macchina o quando ti pare. Penso a quei momenti in cui sai che stai bene e che sei in pace e in equilibrio. Penso ai “mi manchi”. Penso a quando leggevo dieci libri in due settimane. Penso a quando tutto sembrava difficile ed era immensamente più facile di ora.

E lo so, so benissimo quanto di bello ho ora. Le persone che esprimono stima. I progetti che vanno meglio del previsto. Qualche nuova persona che potrebbe diventare una bella amicizia. Il bene di chi c’è.

Lo so.

Lo tengo stretto.

Ma quando cammino così, la sera, tutto torna a galla.

E manca.

Manca tutto.

Ma forse, più di tutto, mi manco io.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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