Good Omens: Buona (davvero) Apocalisse a tutti!
Alcuni anni fa, un Sir Terry Pratchett già molto malato chiese al suo caro amico Neil Gaiman di adoperarsi affinché l’unico libro da loro scritto a quattro mani, Good Omens (o, in Italia, Buona Apocalisse a tutti) diventasse una serie tv perché, testualmente, voleva vederla sullo schermo.
Gaiman, pur presissimo, fece al suo amico l’unica promessa che questi gli avesse mai chiesto, ma non fece in tempo a portarla a termine, dato che nel 2015 Pratchett morì a causa dell’Alzheimer. Come racconta nella prefazione del libro che raccoglie lo script e come ha ribadito durante la presentazione della serie a Londra, dopo il funerale, Gaiman si ritirò nella sua casa sull’isola di Skye e cominciò a scrivere per mantenere, anche se in ritardo, quella promessa.
A distanza di quattro anni, Good Omens è finalmente disponibile su Amazon Prime Video e porta sullo schermo quella che possiamo senza dubbio definire la più grande dichiarazione d’amore fatta da un autore a uno dei suoi più cari amici e all’opera che da sempre ne porta il nome congiunto.
Trasporre un libro in serie tv, lo sappiamo bene, è sempre un’impresa improba: ironicamente abbiamo visto come un altro romanzo dello stesso Gaiman, American Gods, ha subito sorti non certo eccelse; adattare un romanzo amato di un autore ancora più amato è una sfida quasi impossibile: Michael Sheen, in un’intervista da Graham Norton, ha sottolineato che ci sono persone che hanno tutte le parole del libro tatuate sul proprio corpo e che davanti a un’impresa del genere sai già che è più probabile soccombere che riuscire.
Eppure – e fortunatamente – improbabile non significa impossibile e Gaiman, con l’aiuto di una macchina produttiva eccellente, è riuscito a creare un’opera che traspone il libro, lo adatta per il nuovo media e lo dona non solo ai fan che adorano il romanzo da trent’anni, ma anche a un nuovo pubblico che magari non noterà tutte le citazioni, ma saprà innamorarsi di una storia divertente, avvincente e costantemente a metà strada tra la follia e la profondità.
L’aspetto tecnico è eccellente: la direzione del solo Douglas MacKinnon ha permesso un lavoro costante fianco a fianco tra regista e sceneggiatore, mentre il cast raccoglie, anche solo come guest star, attori del calibro di John Hamm, Brian Cox, Derek Jacoby e Benedict Cumberbatch. La stessa sigla animata, che mostra in modo stilizzato la storia del mondo coi protagonisti che la attraversano, è una piccola opera d’arte, per non parlare della chiusura cantata da Tori Amos, amica di lunga data di Gaiman.
[pullquote]Good Omens prende gli ingredienti migliori del libro, li miscela in una nuova proporzione e li integra con nuovi elementi utili a legare il tutto[/pullquote]
Good Omens non è – e non doveva essere – una pedissequa ripresentazione delle scene del libro: non sarebbe stato possibile e non avrebbe funzionato. Ne riprende però tutti gli ingredienti migliori, li miscela in una nuova proporzione – rendendo Aziraphale e Crowley i protagonisti assoluti – e li integra con nuovi elementi utili a legare il tutto.
Chi ama il libro sa che, pur essendo figlio di entrambi gli autori, la parte più folle e divertente nasceva fondamentalmente dalla mente di Pratchett. Il rischio, quindi, che Gaiman da solo non riuscisse a rendere adeguatamente quel tipo di ironia era ben reale e, ne siamo convinti, lo stesso autore ne era conscio: a maggior ragione la sua capacità di mantenere quei toni e di adattarli al nuovo mezzo è apprezzabile e non deluderà le aspettative di chiunque possa aver temuto.
Non mancano citazioni, inside jokes e richiami al romanzo che solo chi l’ha letto coglierà, per cui vi consigliamo di guardarla una prima volta godendovi la storia e poi riguardarla una o più volte per cogliere alcuni particolari. Un cappello (di Pratchett) nella libreria di Aziraphale. Una collezione di suoi libri. O ancora come un qualunque cd di musica classica si tramuti velocemente in un pezzo dei Queen. Poi andate – se non l’avete ancora fatto – a leggere il libro e capirete ancora meglio.
Da ogni trailer, la vena di follia e di comicità di Good Omens è risultata evidente, accompagnata dalla perfezione del casting di Michael Sheen e un mai troppo elogiato David Tennant: una follia che non manca in nessuno dei sei episodi, tra suore infernali e cani degli inferi, profezie molto (molto) accurate, improbabili Anticristo e scambi di persona, tra autostrade circolari, streghe e loro cacciatori, angeli, demoni e la voce narrante di Dio. Che, ovviamente, è donna. (E che donna, visto che la sua voce è quella di Frances McDormand).
Dio non gioca a dadi con l’universo; Io partecipo a un ineffabile gioco di mia invenzione. Per chiunque altro è come giocare a poker in una stanza buia, con puntate infinite sul piatto e un mazziere che non ti dice le regole e sorride tutto il tempo.
Si ride, sì, ma non in modo sguaiato: lo si fa in modo british, com’è giusto che sia, sorridendo delle follie, delle contraddizioni, anche del modo pacato di reagire alle pazzie più grandi.
Si ride di un demone che in fondo ha qualcosa di buono e di un angelo che “in fondo è abbastanza bastardo da far venir voglia di averci a che fare”.
Ma si va oltre, perché fossero solo sketch Good Omens non sarebbe ciò che davvero è. La serie, come e più del libro, è soprattutto un manifesto di elogio della diversità, dell’amicizia che supera ogni differenza, della capacità di diventare migliori quando si accoglie ciò che è diverso da noi.
I believe in peace, Bitch!
È un inno alla speranza che le nuove generazioni sappiano intervenire dove le vecchie hanno fallito, che le eredità vengano raccolte solo quando è giusto e che, non importa quanto disperata sia la situazione e quanto qualcuno continuerà a dirvi che è giusto così, ci saranno sempre due pazzi mezzi incapaci che decideranno che no, non è giusto, e bisogna fare qualcosa per impedirlo.
E magari ci riusciranno proprio perché sono due pazzi mezzi incapaci.
Ma, soprattutto, Good Omens è un elogio e una dichiarazione d’amore nei confronti dell’amicizia. Quella tra bambini. Quella tra un angelo e demone. E quella tra un autore che ha deciso di dire addio al suo amico nel modo più magico possibile.
Riuscendoci.