American Gods: 2×05 The Ways Of The Dead
Ciò che più volte ci siamo trovati a ripetere parlando di questa stagione di American Gods è che manca un’identità che la definisca e che la guidi lungo un percorso che, al momento, sembra essere sempre più fumoso e difficilmente distinguibile. The Ways Of The Dead rafforza questa convinzione consegnando allo spettatore un episodio duro, oscuro, quasi pornografico nel suo mostrare scene di violenza e che, pur avendo diversi momenti che presi singolarmente potrebbero rivelarsi interessanti, finisce per mischiarli senza una logica evidente e senza la certezza che tale logica esista, un po’ come aprire la scatola di un puzzle e iniziare a sospettare che i pezzi all’interno non siano solo disordinati, ma anche provenienti per errore da scatole diverse.
La chiave portante dell’episodio è legata a un episodio di linciaggio realmente avvenuto nella città di Cairo oltre cento anni fa, cui lo sceneggiatore si lega per approfondire il tema della cultura nera e della supremazia bianca nell’America moderna; si tratta di un argomento delicato e fondamentale cui si sta dando spazio crescente già da qualche episodio, ma a cui, però, non sembra davvero venga qui resa giustizia: non nelle scene del linciaggio, quanto meno, che sembra più essere una morbosa vista sulla crudeltà dell’animo umano che una vera disamina del tema in sé. L’approfondimento arriva, se vogliamo, più coi dialoghi tra Nancy e Ibis e tra il Reverendo Hutchins e Ruby Goodchild che con l’intero flashback legato allo spettro di Will James, il che conferma come l’unico punto di reale sollievo di questa stagione sia rappresentato dal lavoro di interpreti come Orlando Jones e, in questo caso, Glynn Turman.
La piega visiva dell’episodio, volta a scioccare o disturbare lo spettatore in vari momenti, vuole richiamare senza dubbio ciò che Fuller aveva fatto sia nella scorsa stagione che in Hannibal ma, come già accaduto in passato, finisce per sembrare più un desiderio di emulazione che una scelta narrativa necessaria e coerente. Ci sono linguaggi (scritti, parlati o visivi) di cui non ci si appropria facilmente se non sono nostri a prescindere e che, soprattutto, non è legittimo usare se non c’è un patto implicito con lo spettatore per cui siamo autorizzati a farlo. Il patto tra Fuller e il pubblico non è automaticamente trasferito a Rodney Barnes, così come l’amicizia che mi lega con una persona non implica automaticamente intimità con altri amici di quella persona.
Sotto quest’ottica, le scene di violenza coi loro focus prolungati sono un tirare una corda sempre più vicina a spezzarsi, mentre la scena della minzione sulla pianta/Yggdrasil avrebbe – forse – potuto funzionare in altre situazioni e con un altro patto tra sceneggiatore e spettatore, ma in questo caso lascia perplessi nel migliore dei casi. Nel peggiore ci fa sentire come se noi fossimo la pianta e al posto di Wednesday ci fosse il regista dell’episodio. Non è piacevole.
Su altri fronti, la vicenda di Laura e Mad Sweeney prende una piega che in qualche modo richiama quella tra Shadow e Bast dello scorso episodio e la critica che si può fare è sostanzialmente la stessa: mascherata con la scusa della magia Loa si ha una scena che punta quasi solo a mostrare quattro o più corpi che fanno sesso; nulla di male a prescindere, ma se si decide che si vogliono piazzare scene del genere come parte integrante della narrazione si deve anche essere capaci di farlo: Preacher e Game Of Thrones insegnano, al riguardo. Inoltre, ma qui entriamo nei gusti personali, chi scrive non sentiva la particolare necessità di una svolta pseudo-romantica tra i due personaggi: sembra sempre più che – non si sa se per accontentare il fandom o per incapacità narrativa – sia quasi impossibile scrivere situazioni di buona affinità tra personaggi di sesso opposto senza per questo inserire una componente sentimentale. Avvilente.
A proposito di relazioni che non è ben chiaro che direzione vogliano prendere, quella tra l’Ifrit e Salim sembra a uno stallo dovuto alla (eccessiva?) fede del mortale nel suo dio. La frustrazione di Odino e dello stesso Jinn è ovvia e per molti versi comprensibile: per loro tutte le divinità sono equivalenti e l’unica vera differenza sta nel numero di fedeli in grado di garantire loro potere. Dio (o Allah, in questo caso) non è al vertice e di conseguenza seguito da milioni di fedeli, bensì lo è perché seguito da milioni di fedeli. Il suo status è risultato, non causa, della fede, un concetto che per Salim è inaccettabile: gli risulta più semplice immaginare che tutte le altre divinità esistano ma appartengano a un pantheon minore piuttosto che accettare che la sua fede potrebbe essere riposta altrove con effetti simili.
D’altronde, la fede, per come viene spesso intesa, opera meglio sui misteri che sulle evidenze: è stranamente più accettabile credere in un’entità immensa e imperscrutabile la cui volontà non è ben chiara anziché in una o più tangibili eppure evidentemente soprannaturali, per cui la posizione di Salim, per quanto possa sembrare assurda, è anche al contempo piuttosto credibile e il continuo tentativo da parte di Wotan di convincerlo del contrario non fa altro che radicare la sua fede altrove.
Spostandoci sull’aspetto della trama orizzontale, The Ways Of The Dead non aggiunge praticamente nulla a quanto già avvenuto e questa, a tre episodi dal finale di stagione, non è certo una nota positiva. Dei nuovi dei non c’è traccia alcuna – non che se ne senta la mancanza, a dire il vero – e dal punto di vista pratico gli unici avanzamenti nella storia sono rappresentati da Odino che vuole farsi riparare Gungnir e Laura che forse è un passo più vicina a tornare in vita ma che nel frattempo ha forse scoperto che c’è qualcosa tra lei e Sweeney.
Si sta evidentemente lavorando in direzione di rivelazioni relative a Shadow, ma non è chiaro se queste arriveranno davvero nei prossimi tre episodi o saranno rimandate alla terza stagione. Così come non sappiamo se Sam si rivedrà o se ci sarà un utilizzo più incisivo del personaggio di Ruby, la cui introduzione non sembra essere fine a se stessa ma allo stesso tempo ancora non ha una forma ben definita.
Tante domande, ancora tanti difetti per un episodio che, quanto meno, non è stato completamente indifferente. Non è certo ciò che vorremmo poter dire di questa stagione, ma questo è ormai chiaro da tempo.