Fuori dalla comfort zone

Partiamo dall’elefante nella stanza. Io non mi piaccio. Fisicamente, intendo, che per il resto non mi sto troppo sulle palle.

Non mi piaccio praticamente da sempre o quanto meno da quando questa caratteristica ha iniziato a far parte nei miei pensieri. La causa, banale e semplice, è che quando ti ripetono per anni e oltre che sei grasso, che fai schifo, che non puoi piacere a nessuno e tante altre cosine del genere finisci per pensare che forse hanno ragione. Finisci per guardarti allo specchio e starti sulle palle.

Che uno potrebbe pensare che negli anni passi, ma spesso e volentieri negli anni, nei decenni, impari semplicemente che ci sono altre cose che contano di più, altre cose che ti caratterizzano, che ti rendono chi sei, che ti danno valore (maggior valore, oserei dire) e che impari a coltivare, conoscere, arricchire.

Così, se sei fortunato (e io lo sono abbastanza, chiariamolo) inizi a viverti nel tuo complesso, tra pregi e difetti, punti di forza e debolezza. A trovare un tuo equilibrio. Ma rimane il fatto che se ti concentri su quel particolare punto, non è che le cose siano cambiate molto. Se va bene impari a essere un po’ meno critico. A notare cose che ti piacciono di te e cose che continuano a non essere di tuo gradimento. Addirittura a concederti di trovare capi d’abbigliamento che senti tuoi. A scoprire che ti piace decisamente di più con la barba. Cose del genere.

Ma non vai oltre, o almeno io non sono mai andato oltre. Se faccio un selfie mi sento ridicolo e in imbarazzo e finisco per fare facce da pirla. Se scatto foto con Miss Sauron meno, ma comunque capita. Se mi scatta foto lei spesso e volentieri sono talmente in imbarazzo da non sapere dove guardare, figuriamoci sorridere spontaneamente.

Per non parlare di quando Miss Sauron (o molto più raramente qualcun altro) mi fa complimenti per il mio aspetto fisico, per come sto con un certo abbigliamento o simili: la maggior parte delle volte faccio una battuta per sminuire e negare possa essere vero (con sua comprensibile incazzatura), altre cerco di farlo ripetere perché mi suona strano e penso di aver capito male.

Non scrivo tutto questo per suscitare chissà quale empatia o dispiacere, solo per contestualizzare.

Questo mio non piacermi, pur ormai difficilmente eliminabile, è un peso che non amo e che sempre più spesso cerco di combattere.

Qualche mese fa, Chiara Malaspina, una bravissima fotografa che seguo da tempo su Instagram, ha lanciato l’idea di un progetto (che si chiamerà (k)now) nel quale si propone di ritrarre persone mai incontrate dopo aver scambiato quattro chiacchiere dal vivo e cercare di restituire quella sua prima impressione.

Il farsi vedere. Farsi ritrarre. Vedersi con occhi altrui. Un potenziale incubo per chi non si piace come me. Eppure.

Eppure il pensiero mi è entrato subito in testa, complici anche alcune foto che una fotografa nostra amica ha scattato diversi mesi fa a Miss Sauron, con risultati veramente splendidi. Invece, quindi, di chiedermi “perché dovrei?” mi sono chiesto “perché non dovrei?”.

E la risposta è stata “non c’è motivo per cui non dovrei”.

L’unico motivo per cui avrei potuto decidere di non farlo sarebbe stato rimanere in quella comfort zone che per anni mi ha protetto, ma che al contempo mi ha impedito veramente di fare pace con me stesso.

Così mi sono proposto e due settimane fa ero nel suo studio, curioso più che preoccupato. Abbiamo chiacchierato un po’, parlato di gatti e clienti e poi siamo passati al servizio.

E mi sono divertito! Ha fatto non so quanti scatti, da varie angolazioni e con varie luci, si è complimentata per gli occhiali puliti (lunga storia), abbiamo scambiato battute, il tempo è volato via.

Ero me stesso, più di quanto avrei creduto possibile in una situazione del genere in cui io ero al centro dell’attenzione senza altro da fare se non essere ritratto.

Qualche giorno fa mi ha mandato una delle foto e nei prossimi giorni dovrebbe mandarmene un’altra.

E mi piace.

Non è una frase da poco, sono poche le foto che guardo in cui mi piaccio sul serio, quasi nessuna presa con me in posa, spesso rubate da Miss Sauron in qualche momento in cui ero distratto o guardavo da un’altra parte o riusciva a tenermi buono.

Ma oltre al piacermi, vedere quella foto è vedermi come una persona, dotata di un occhio professionale ma anche di naturale sensibilità, può fare. È scoprire che se si vuole guardare davvero, ciò che sono (non tutto, mai tutto, ma comunque qualcosa di importante) si vede. Nell’espressione. Negli occhi. Se si vuole c’è.

C’è chi guardandola mi ha detto che si vede chi sono. La mia anima. C’è chi dice che io sono molto di più (ed è giusto così, che se una sola foto bastasse a raccontarci ci sarebbe poco da raccontare). Io dico che in quella foto io ci sono. E mi piace. E mi piaccio (ed è strano anche solo scriverlo).

E questo, anche solo questo, è un motivo sufficiente per esser felice di essere uscito da quella comfort zone. E lo scrivo qui perché è necessario ricordarmelo. E forse, solo forse, perché magari servirà anche a qualcun altro.

Anche se non vi piacete, permettetevi di guardarvi davvero, ogni tanto. Potrebbe essere che prima o poi arrivi una bella sorpresa.

(foto di Chiara Malaspina – https://chiaramalaspina.com/)

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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