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Non tutti, credo, possono dire di ricordare esattamente quando tutto è cambiato. Vero, nel mio caso potrei citare vari momenti, ma tutto, letteralmente tutto, cambiò in un momento ben preciso e niente fu mai più uguale. Io non fui mai più uguale. Io non smisi più di cambiare.

Era all’incirca quest’ora, forse un’ora dopo, che chiamarono dall’ospedale. Papà corse, mi disse di rimanere a casa, che non c’era bisogno andassi anch’io. Io ti avevo vista quella mattina, legata al letto perché rischiavi di cadere, sotto farmaci al punto da non sapere se ti rendevi conto fossi lì.

Rimasi a casa. A leggere sul divano. Ricordo dov’ero seduto, ricordo com’era la sala. Ricordo il libro. Ricordo il momento in cui babbo rientrò. Quelle parole. “Non doveva lasciarci”. I miei pugni al muro. Il tornare in ospedale. Il piangere e pregarti di dire che non era vero. L’andare in campagna con Fedora all’una di notte per cercare il vestito. Per tenermi impegnato. Per non fermarmi a pensare.

Non ricordo molto altro di quei giorni. Qualche scorcio del funerale. Il mio piangere sulla spalla della professoressa che tanto mi aveva insegnato e ripetere “è finita”. Non sapevo quanto avevo ragione. O forse sì.

Era ventidue anni fa. Avevo ventidue anni. Tra pochi mesi, lo ripeto spesso, avrò trascorso più della mia vita senza te che con te.

Ventidue anni. La prima volta che ho iniziato a perdere chi amavo. Non l’ultima. Quell’esperienza che nessuno ti invidia. Quell’esperienza che nessuno può capire, se non ci è passato. E a volte anche ci è passato.

Riguardo le foto di quella vita, fino a quel giorno, e io quella persona non so più chi è. Ero davvero io? Sono davvero stato quello? Sei davvero stata nella mia vita?

A volte ho l’impressione di no, che tutto fosse qualcun altro e che io, io non sia. O sia troppo. O non lo so.

Non c’è giorno che non mi chieda “e se?” e non c’è giorno che non mi ripeta che non sarei io, che non sarei chi sono. Forse meglio. Forse peggio. Ma non questo. Non io. E quindi io sono tuo figlio due volte. Dalla mia nascita e dalla tua morte. Figlio della vita e figlio della fine.

E non lo so se abbia senso, non so se significhi qualcosa o siano solo sproloqui. So che non sento la tua voce da ventidue anni. So che se fossi qui probabilmente litigheremmo buona parte del tempo. So che mi hai deluso tante volte, sopratutto con tutto ciò che ho scoperto dopo. E so che mi sei mancata in questi ventidue anni. Anche se la tua voce è sempre più lontana. Anche se non mi riconosceresti più. Anche se.

Mi sei mancata. Mi manchi. Mi mancate. E forse in certi giorni, in certi momenti, mi manco anche io. Ma poi passa.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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