Dopo un po’
Penso sia uno dei periodi più lunghi trascorsi senza che scrivessi qualcosa qui sopra e, se vogliamo dirla tutta, non fosse che ho una giornata più leggera del previsto, probabilmente anche stavolta salterebbe.
E visto che siamo in tema di piena sincerità, non è che sappia proprio cosa scrivere.
Cosa diamine scrivi a fare, allora? Direte voi. Boh, rispondo io, e vado avanti comunque, in quello che rischia di essere un post fotocopia di tanti, ultimamente.
Non è un periodo eccellente, se vogliamo usare un eufemismo. Il lavoro procedicchia, sì, ma comunque il pensiero di dover rimettermi in ricerca durante l’autunno non è remoto e di sicuro non è allietante, sopratutto considerato il botto di tasse arrivato da pagare.
Perché si sa, chi lavora in proprio ruba sempre, ha i soldi nascosti nel culo e aggiungete pure tutti luoghi comuni di merda che ormai mi sono anche stufato di smontare. Così come mi sono stufato di aspettare per potermi liberare di certi pesi, ma ovviamente non è concesso, non a me, quanto meno.
“Ma possibile sia rimasto solo tu in ballo con quel casino?” mi ha detto qualcuno. Evidentemente è possibile. Omino fortunato.
E quindi uno si stufa pure.
Come si stufa di persone che scambiano la tua educazione e il tentativo di mantenere rapporti civili per la possibilità di comportarsi come si vuole senza conseguenze. Quando poi queste arrivano, lo stronzo sei tu. Giusto, va benissimo e chiudiamo porte.
Chiudere porte. A volte sembra non abbia fatto altro nella vita, conseguenza probabile di averle tenute aperte troppo spesso e troppo a lungo (e sul motivo per cui l’ho fatto ci sarebbe da scrivere decine di post). Fatto sta che non ho più tempo, voglia e, sostanzialmente, cazzi di avere intorno gente che anche solo lontanamente non mi faccia star bene, sia per atteggiamenti attivi, passivi o mancati. Non voglio far numero, non mi interessa il volume, mi interessa la sostanza. E se il volume continuerà ad assottigliarsi vorrà dire che ho sbagliato molte cose in precedenza. Amen, si prende atto. Mi prendo responsabilità di errori passati e, soprattutto, mi prendo la possibilità di correggerli quando li riconosco. Meglio tardi che mai.
Che poi, a guardare indietro, non c’è una porta chiusa che abbia voglia di riaprire. Anzi, bugia, una ci sarebbe. Una porta a cui ho ricevuto un bussare sommesso ed educato quando meno me lo aspettavo e più ne avevo bisogno e che non ho scordato. Quel giorno ho aperto lo spiraglio, sorriso, ringraziato. Ma riaprirla fa paura, inutile negarlo, perché se ciò che la fece chiudere non fosse cambiato non ci sarebbe margine per tenerla aperta. Ma io, di quel gesto, rimango grato e non lo scordo. Lo scrivo qui, a memoria mia e di chi potrebbe leggerlo.
Ma a parte quella, le altre stanno bene chiuse. Anzi, accidenti a me che non l’ho fatto prima, in alcuni casi. Ma anche questo si impara.
Se quello che traspare da questo post e da quello/i che l’hanno preceduto è amarezza e stanchezza, allora è tutto assolutamente reale: sono stanco fisicamente, sono stanco emotivamente, sono stanco cerebralmente. Sto tirando ai momenti di stacco come boccate d’aria necessarie. Venerdì, intanto. Londra, di nuovo. Ian McKellen. L’emozione di vederlo dal vivo è enorme eppure fino a qualche giorno fa non mi ero reso conto che il giorno era così vicino, effetti collaterali della stanchezza.
Poi un concerto, il primo di quest’anno.
E infine le ferie. Via per una settimana, il resto casa e un solo obiettivo: sfruttare i giorni a casa per fare solo due cose, leggere e scrivere. Sono mesi che mi lamento di stanchezza e tempo: avrò dieci giorni in cui una non sarà giustificata e del secondo avrò abbondanza. Dieci giorni per me e ciò che dico di amare. Dieci giorni per dimostrarmelo. Per dimostrare che quel romanzo voglio finirlo. Non importa finirlo in quei giorni, ma deve andare avanti. DEVO andare avanti.
E intanto cerco di imparare a gestire in modo nuovo i rapporti. Tenere accanto solo chi è davvero importante per me. Ricordarmi di dire ciò che sento a chi lo merita. Dire ciò che si prova. A prescindere. Se ne vale la pena, ovviamente, altrimenti non sprecarci tempo. Ma se vale la pena farlo. Ora, non domani, non dopodomani. Passare tempo, fisico se vicino, virtuale altrimenti, con coloro la cui presenza mi fa stare bene. Sembra banale e io, in primis, lo ripeto da sempre, ma a volte va ricordato e sottolineato e messo nero su bianco.
A volte l’impegno con se stessi va ribadito e poi messo in pratica.
Le porte che si chiudono lasciano fuori ciò che non va, ma bisogna anche alimentare ciò che va. Viverlo. Ricordarsi che c’è. Lo scrivo, lo ripeto, perché troppo spesso me ne scordo. Troppo stesso la frustrazione e la stanchezza finiscono per soverchiare quando di buono e bello c’è. Poi i margini di miglioramento sono sempre ampi, è ovvio, ma è miglioramento, non costruzione da zero.
Va ricordato.
Così magari, la multa arrivata oggi, la mettiamo tra i fastidi e non tra le rotture di palle che rovinano la giornata, per dire.