Di significante e significato
Sabato ho terminato una lunga passeggiata in Piazza San Babila e ho assistito a qualcosa che, pur avendolo visto decine di volte, mi ha fatto riflettere.
Vicino alla piazza c’era un banchetto di militanti animalisti, di quelli che lottano contro la crudeltà verso gli animali e contro l’alimentazione carnivora: erano sei o sette persone, non di più, e il banchetto era letteralmente costellato di immagini cruente e forti e di massaggi implicitamente violenti che avrebbero dovuto sensibilizzare.
Uso il condizionale volutamente perché, come prevedibile, nessuno si avvicinava. Neanch’io, pur condividendo senza alcun dubbio i valori di rispetto verso gli animali e, ovviamente, del non mangiare carne.
Perché parlo di prevedibilità? Perché un messaggio del genere è fatto appositamente per non essere ascoltato.
Ciò che ormai risulta evidente in decine di situazioni quotidiane è che, quando si parla di comunicazione, si sia persa di vista l’importanza che ha il significante assieme al significato e tale evoluzione (o, meglio, involuzione) è alla base di danni su parecchi fronti.
Prendiamo questo esempio, così come potremmo prendere l’esempio di quelli che definisco vegani talebani, ma anche di altre categorie (chiamiamole così per comodità) che in qualche modo si vedono riconosciute da un messaggio e dal modo di trasmetterlo: ho sempre detto che detesto il modo di porsi di tanti carnivori/onnivori che devono mettersi a sindacare il fatto che io, personalmente, abbia fatto una certa scelta alimentare, ma dall’altra parte comprendo perfettamente quanto certi duri e puri rendano loro la vita facile.
Nel momento in cui qualcuno si mette a sbraitare verso uno che si sta bellamente facendo i fatti suoi accusandolo di essere un assassino, una merda e tante cosine del genere, di preciso per quale motivo questa persona dovrebbe fermarsi e dire “sai cosa? hai ragione, sono un assassino, da oggi basta”.
La comunicazione richiede tre elementi fondamentali: un soggetto emittente, un mezzo di comunicazione e un soggetto ricevente. Se uno di questi viene a mancare per volontà o per errata scelta, la comunicazione fallisce a prescindere.
Se io non dico ciò che penso non posso chiedere che la persona davanti a me sappia cosa penso, ma lo stesso risultato avviene se io esprimo quello che voglio in un modo che la persona davanti non è disposta a ritenere come valido, sia esso per scelta, per partito preso, per sensibilità, anche per disinteresse.
Mi viene in mente quando circolò la foto del povero bambino morto in mare tempo fa, il cui corpicino era adagiato sulla sabbia, senza vita. Ho visto quella foto condivisa decine di volte da persone che “volevano educare gli ignoranti razzisti e far loro vedere cosa succede veramente”. Ha ottenuto qualche effetto? Sì, senza dubbio, ma non quello sperato: i suddetti ignoranti razzisti hanno assunto varie forme di reazione, da quella di diniego a, terribilmente, quella di indifferenza o supponenza. Gli altri, quelli già sensibilizzati, sono stati addolorati da quella che è diventata una vera e propria pornografia del dolore.
Allo stesso modo, anche se in scale diverse, a cosa serve la condivisione di immagini di violenze sugli animali? Di cani o gatti uccisi, di animali al macello e via dicendo in questo modo? Davvero, in un mondo in cui ciò che non manca è la diffusione di informazioni più o meno accurate su praticamente qualunque cosa (e di relative falsità, ovviamente), si pensa che il cambiamento avverrà perché si condivide un’immagine di violenza? Io ho scelto di diventare vegetariano cinque anni fa: non è che fino ad allora non fossi consapevole di quanto avveniva nei macelli, eh? Eppure ho fatto un mio percorso che mi ha portato a diventarlo e, questo posso assicurarlo, il fastidio che provo verso i duri e puri che salgono su un podio per urlare più o meno metaforicamente è di poco diverso da quello provato verso chi mi rompe le palle a tavola.
Un’iperbole che uso a volte è che ogni volta che vedo certi modi di porsi mi viene voglia di andare a mangiare da Burger King.
La questione, semplice e banale eppure fondamentale, è: si vuole comunicare ed essere ascoltati oppure si desidera sentirsi nobili, puri, superiori e darsi pacche sulle spalle tra chi è uguale a noi, magari lanciando qualche sguardo di superiorità a coloro che non appartengono alla cerchia eletta?
Perché se lo scopo è il primo, allora bisogna sforzarsi di comunicare applicandosi su tutti e tre gli elementi del processo:
- avere qualcosa di sensato da dire, perché altrimenti è sempre meglio stare zitti
- avere qualcuno che desidera ascoltare, perché costringere all’ascolto è una forma sottile di violenza ma, soprattutto, è un modo perfetto per non farsi ascoltare. L’implicazione è che potremmo non trasmettere il messaggio quando vogliamo, ma l’alternativa è mandarlo sprecato, perché una volta trasmesso nel momento sbagliato potrebbe non poter più essere accettato.
- comunicare nel modo giusto in base a chi vogliamo che ci ascolti, perché è vero che non siamo responsabili di ciò che viene recepito, ma è altrettanto vero che lo siamo in base al modo in cui lo trasmettiamo. Come in relazione al punto sopra, la conseguenza è che pur avendo qualcuno di disposto ad ascoltare, comunicando in forma errata (dove errato = non ben accolto dal ricevente) si finisce per alienarsi l’ascolto temporaneamente o definitivamente. Di nuovo, vale la pena correre questo rischio se vogliamo trasmettere un messaggio importante?
Questo può implicare che il messaggio arrivi in tempi molto più lunghi o che possa non arrivare a quante persone vorremmo nei tempi che ci piacerebbero, ma rimane il fatto che si tratta degli unici criteri in grado di garantire la possibilità che il messaggio arrivi, che altrimenti è preclusa a prescindere.
Se poi queste tre, banali regole, sembrano eccessive, allora è probabile che l’interesse non sia nel comunicare, ma nel sentirsi nella minoranza eletta e incompresa. Cosa che, chiariamo, può anche essere legittima, ma di sicuro è una forma di masturbazione mentale che troppi hanno eletto ad arte e che le cerchie dei social stanno pesantemente dimostrando quanto possa essere dannosa.