Ciao, cucciolone

Sono le 4.35.
Sono in lacrime e dormire non sarà possibile.

È passata solo poco più di mezz’ora da quando è squillato il telefono e la tua mamma mi ha chiamato per dirmi che non ci sei più.

È impossibile, non può essere vero. Sono uscito di casa stasera senza neanche salutarti perché ero certo ti avrei rivisto tra due settimane. Non me lo perdonerò facilmente. Ti ho sempre salutato e stasera no.

Sto piangendo, Rooney, sto singhiozzando.

Non sei stati mio da sempre, ma sei stato nel mio cuore da subito. Fin dal primo giorno che ci siamo visti e non ti fidavi di questo estraneo per casa e ti sei andato a nascondere. Ma poi è cambiato e negli anni ti ho coccolato, dato da mangiare, grattato sulla pancia mentre ero sdraiato a leggere o seduto a vedere la tv. Ogni tanto ti tenevo in mano la zampona.

Ti piaceva venire vicino quando ero sul divano, anche se odiavi che ti rubassi il posto a letto accanto alla tua mamma. Scusami di questo. Ieri notte hai espresso il tuo dissenso. Avevi ragione, ero io l’intruso. Scusami.

Eri meraviglioso. Di una bellezza che di solito vedi solo nelle foto in rete. Ed eri tanto buono quanto bello. A te non importava di molto. Qualche coccola. I tuoi croccantini preferiti. Qualche testata alla tua mamma. L’acqua dal rubinetto o dalla fontanella. Magari qualche raviola, ecco. Ed eri felice.

Ti ho preso in giro tante volte, lo so. Per il fatto che eri pigro, per la stazza, per il tuo essere pacioccone. Ma erano le prese in giro di chi ti ama incondizionatamente.

Sei stato mio per poco più di quattro anni, ma non conta, lo eri a tutti gli effetti e non me ne faccio una ragione.

Non mi faccio una ragione di essere in una città diversa in questo momento, di non averti salutato, di non averti coccolato abbastanza questo week-end, di non essere lì a stringere la tua mamma in questo momento.

Non mi faccio una ragione di non avere una sola foto in cui sono con te.

Non lo so, cucciolo, non so che dire, non riesco a pensare che non ti vedrò più, non ci riesco. 

Riesco solo a pensare alle volte che ho dovuto darti parte di una brioche che stavo mangiando, o farti bere dal bicchiere, a te che bevi dal rubinetto, a quando ti ho preso in braccio perché volevi salire sul lavandino e poi scendere.

Riesco a pensare a te a pancia all’aria che ti fai grattare, a te che dormi sdraiato sulla schiena, come ho visto fare solo a te, a quando mangiavi i croccantini sdraiato vicino alla ciotola, allungando una zampa per prenderne uno o due alla volta, a quando cercavamo di farti giocare e tu decidevi che l’ideale fosse farlo da sdraiato.

Penso ai tuoi occhi spalancati verso il mondo e verso i carboidrati.

Riesco a pensare alle tue zampe enormi e bellissime, ai ciuffi di pelo dai polpastrelli, a quegli occhi tondi, al muso buono, al pelo bianco sotto il mento che si vedeva quando lo alzavi per farti grattare.

Il gatto più buono che abbia mai conosciuto.

Ti volevo bene, sai? Ti volevo tanto bene. Non ti ho visto crescere, ma non conta niente. E se io ti volevo così bene, la tua mamma ti adorava, ma tu lo sai, l’hai sempre saputo, non c’è bisogno te lo dica io. Vi adoravate.

Sono contento la tua mamma fosse lì, stasera. Non mi sarei mai perdonato se fosse stata con me e non con te. Ma mi spiace così tanto di non averti salutato.

Mi sto ripetendo, lo so, ma non mi importa niente, Rooney. Mi importa che non ci sei più e non te lo meriti. Mi importa che non ci sei più e non ce lo meritavamo. Non ora. Non così all’improvviso.

Non è giusto, cazzo.

Non è per niente giusto.

Non è giusto che non ti vedrò più.

Non è giusto che la tua mamma non riceverà più le tue zuccate di buonanotte.

Ti direi di salutarmi Zen, ma ti ricordi che lui è un tipo strano, vero? Ma tu sei buono, sai farti volere bene, abbi pazienza. Fatevi compagnia. Fatevela tra di voi, visto che non potete farla più a noi. 

Dio, quanto mi mancherai, cucciolone.

Quanto mi mancherai.

Quanto ci mancherai.

Quanto.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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