Di maggio e di monaci
Maggio. Il mese del risveglio. Quello in cui ricominci a fremere, ad avere voglia di gustare ancora di più le cose, di viverne sempre di più, di assaporare ogni singolo istante.
Il mese in cui il prossimo viaggio è intollerabilmente lontano, in cui la prospettiva di una giornata di lavoro, di più giornate di lavoro piene è fastidiosa come la sabbia rimasta sulla pelle, eppure ovviamente necessarie (perché sì, continuo a voler fatturare e mangiare).
E le voglie si accumulano: leggere, camminare, scrivere, ridere, chiacchierare, confrontarsi, imparare, evolvere, di più, sempre e solo di più; poi, quando capitano sere che sono boccate d’aria, in cui le chiacchiere si susseguono, si mangia bene, si ride, ci si confronta e si passeggia in una serata in cui anche il clima sembra aver deciso di venire incontro, la normalità del giorno dopo è ancora più stretta e finisci per trascorrere i momenti di pausa a cercare idee stimolanti, siano essi concerti, mostre, film, spettacoli. Per avere di più.
“Non sei mai contento”.
Vero.
Per certi versi è così.
Perché contento assomiglia ad “accontentarsi” e io, di accontentarmi, non sono capace: io, quando mi sono accontentato, l’ho fatto per sopravvivere e solo per quello.
Ma “contento” e “accontentarmi” proprio no. Soddisfatto. Felice. Entusiasta. Inebriato. Questi sono aggettivi che preferisco di molto.
Tutto in eccesso. Per godere della vita, dacci dentro a grando morsi. La moderazione va bene per i monaci.
Ecco, proprio come diceva zio Heinlein. Io non sono un monaco. Sono tutt’altro che un monaco.