Meritato
Giornata lavorativa mediamente intensa, da un cliente a una mezz’ora di treno da Milano.
Tutto sarebbe regolare, non fosse che, per finire di fare il punto, decido di prendere il treno successivo a quello che avevo previsto per tornare a casa.
Nel frattempo il tempo, da sereno che era, si è convertito in “voglio romperti le palle con la pioggia finché non impazzirai di fastidio”.
Scendo, assieme ad altri due collaboratori, e prendo il treno, con pochi minuti di ritardo.
Il treno parte e arriva alla stazione successiva, dove si ferma più del dovuto. Molto più del dovuto.
A un certo punto ci viene annunciato che la linea è ferma perché c’è stato un investimento nella stazione successiva. Ci vorrà almeno un’ora.
“Almeno un’ora”, in questi casi, si traduce in “preparatevi a dormire sul treno o a tornare a casa a piedi perché di qui questa carrozza non si sposterà per ore e ore”.
Contattiamo chi è rimasto in azienda, che gentilmente ci viene a recuperare in macchina: per raggiungerlo scendiamo scale, prendiamo pioggia, passiamo in un sottopassaggio in cui ogni auto che passa genera un piccolo ma sufficiente tsunami.
Ci trasferiamo verso la prima stazione successiva in cui possiamo sperare di trovare treni in direzione Milano. Piove, ve lo ricordo, e i treni non vanno, ergo il traffico equivale a quello nel primo week-end di agosto sulla A1. Con la pioggia, però.
Arriviamo alla stazione pochi minuti prima di poter recuperare un treno che possa andarci bene, fuori dalla stazione decine di persone a cercare di trovare un modo per andare nella direzione da cui noi proveniamo: intanto è trascorsa circa un’ora e mezza da quando eravamo saliti sul treno iniziale.
Arriva il treno e tutto, finalmente, sembra a posto: scendo, prendo la metropolitana, arrivo a casa anelando divano e cena.
Apro la porta.
Stitch miagola.
In corridoio tre sue vomitate, dopo settimane in cui non ne aveva fatte.
Io, stasera, un pezzo di cioccolato fondente me lo sono meritato.
E fanculo.