25.01.2017

Umore un po’ altalenante.

Niente di veramente definito, tranne un fastidio che è ancora strascico del passato e che sarebbe carino si togliesse dalle palle quanto prima e, possibilmente, nel modo giusto.

Il lavoro procede: non posso certo lamentarmi, anzi. Sono fortunato ed è bene ribadirlo.

Stamattina ha segnato un momento di chiusura ufficiale dei rapporti con uno dei miei clienti più vecchi: non per scazzi, stavolta, ma perché assorbiti da una multinazionale che ha spostato altrove gli affari. Strano vedere svuotare gli uffici, strano vedere cannibalizzare il lavoro di anni. In realtà la collaborazione si era già molto rarefatta negli ultimi due anni proprio in vista di questo momento, ma l’ufficializzazione fa sempre un effetto particolare.

Capitoli che si chiudono.

Sono a favore, di solito, dei capitoli che si chiudono, quando il momento è quello giusto e soprattutto se se ne aprono di stimolanti a seguire.

Ecco, mi rendo conto che uno dei motivi per cui sono insofferente verso lo strascico che dicevo è che quel passato lo voglio del tutto alle spalle voglio capitoli nuovi, con gusto, aspetto e profumo diversi.

Profumo, non puzza, sia chiaro, vero 2017?

E oggi il medico mi ha chiesto di mio padre. Assurdo, non c’era mai stata occasione per dirgli che è morto. Mai, in otto anni. Boh. Strano (sì, di nuovo) dover raccontare oggi. Molto.

E per un paio di mesi poca o niente frutta. Giusto dopo aver comprato l’estrattore. Che, oddio, probabilmente è proprio “colpa” sua, ma non sottilizziamo: è quanto meno ironica la cosa e basta lì.

Sto anche pensando a cosa fare a Londra il 15 e 16 nei momenti in cui non sarò dal buon Neil. Ho voglia di vivermela come si deve. (No, non sto chiedendo suggerimenti, a meno che sappiate di mostre imperdibili. Altrimenti lasciate che la mia mente e il mio istinto facciano il loro lavoro).

Devo prendermi più cura di me stesso. Ho imparato, sto imparando, ma ancora non basta. Più cura, più attenzione, maggior priorità alla mia salute e al mio benessere: questo corpo non è certo il migliore che potessi chiedere, ma è l’unico che ho e a maggior ragione sarà il caso di farlo tenere a lungo.

In questo momento la cornice elettronica mostra una foto Zen, cucciolo, seduto sull’acquario in mezzo a tre orribili scimmiette di legno. Vita talmente vecchia che a volte non sembra più la mia. E ora una foto al concerto di Cohen. Il nostro primo concerto insieme. Luglio 2013. L’emozione di quel giorno. La gioia. E ora Poldo su un davanzale. Poi mio padre, camicia a scacchi e berretto immancabile. Funi, tanto uguale a Zen (o, meglio, Zen tanto uguale a lui). Brooklyn. E poi la foto in cui prendo in braccio mio padre abbracciandolo. Cos’era? Il 1999, direi. Al massimo il 2000. Niente barba, forse neanche pizzetto. Chili in più. Un padre in più. Tanti dolori in meno. Un altro me stesso. cosa dicevo qualche giorno fa?

E ora eccomi davanti a una ruota illuminata a Parigi. Sento ancora il freddo nelle ossa di quei giorni. E il dolore della caduta pochi giorni dopo. E Washington. Che bella Washington. Coney Island. Un’altra ruota panoramica, che stranezza. E la public library. E di nuovo Zen, Poldo, Stitch.

Vita, ricordi, esperienze, gioie, dolori.

In serate come queste li sento tutti, uno per uno.

Come fossero da inventariare per poterli meglio organizzare.

Per far spazio?

Forse.

Per assimilare?

Sempre.

Per continuare.

Soprattutto.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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