Ma questi vegetariani cosa mangiano?
Dietro una domanda che mille volte chi è vegetariano o vegano avrà sentito ci sono comunque domande e curiosità legittime, così oggi ho pensato di provare a dare una risposta minima, complice uno scambio con un amico che è sembrato piuttosto interessato/incuriosito dalla cosa.
Dato che l’alimentazione (onnivora, vegetariana o vegana che sia) è un argomento estremamente delicato e complesso, non ho alcun tipo di velleità di completezza o di autorevolezza: diciamo che si tratta della versione scritta di quelle che potrebbero essere chiacchiere tra amici in una serata gradevole.
Proprio per questo non accetterò, in coda a questo post (qui o altrove) commenti del tipo “ma che schifo”, “ma io quella roba non la mangio”, “ma fatti una bistecca”, ecc…: nessuno vuole convertire nessuno, si tratta solo di togliere curiosità a chi dovesse averne; non vi interessa? Non leggete, semplice.
Partiamo con alcune basi.
I vegetariani non mangiano carne e pesce, ma mangiano latticini e uova. Se qualcuno si definisce vegetariano e mangia pesce, beh, sta dicendo una cazzata. Semplicemente non mangia carne: il che va benissimo, eh? Solo che se si definisce vegetariano, poi a noi capitano le insalatone vegetariane col tonno dentro.
I vegani non mangiano nessun prodotto di origine animale, per cui niente latticini, niente uova, niente miele, anche (a voler essere estremamente rigidi) niente vino se non certificato, dato che a volte vengono trattati con prodotti di origine animale.
Come si potrà immaginare, il passaggio a (e il mantenimento di, in certi casi) un’alimentazione vegana sono di parecchie grandezze più complicati del semplice smettere di mangiare carne e pesce e richiedono una consapevolezza di ciò di cui si nutre che non è affatto banale o scontata e che sarebbe in realtà utile a tutti, qualunque cosa si mangi.
La domanda più frequente è “da dove prendi le proteine?”.
Ora, a parte il fatto che non è che tutti quelli che sono onnivori abbiano poi per definizione un apporto proteico giornaliero adeguato e non si sentono mai fare questa domanda, comunque la risposta è interessante.
Le fonti di proteine alternative sono parecchie, a dire il vero: legumi, formaggi, uova (ovviamente questi due solo per i vegetariani), frutta secca, soia, oltre a derivati vari, di cui andrò a parlare tra poco.
Il mio errore più grande, quando smisi di mangiare carne e pesce, fu buttarmi in modo intensivo sui formaggi e, ma comunque meno, sulle uova: non ero abituato a consumare molti legumi e quindi mi spostavo sui cibi a me più affini; il problema è che i formaggi sono grassi e non è concepibile usarli per sostituire altre fonti. Mai.
Così, nel tempo, ho imparato ad apprezzare e amare i legumi (lenticchie soprattutto, ma anche ceci e fagioli) e a usarli come base di piatti semplici o più complessi.
Questo è stato indubbiamente un passo importante nel mio modo di nutrirmi, ma ho cercato di andare oltre cercando di scoprire ingredienti e ricette che mi permettessero di variare, mangiare con gusto e divertirmi nel cucinare.
Come dicevo sopra, ci sono vari derivati di prodotti di base che sono più o meno famosi, spesso bistrattati, ma che usati e scelti con accortezza diventano componenti deliziosi e fondamentali di un’alimentazione vegetariana, prodotti che pian piano ho imparato a conoscere, selezionare e usare secondo le mie esigenze.
Cercherò di fare una panoramica, per forza di cose sintetica e incompleta, ma che spero renda l’idea.
Tofu: non posso non cominciare col cibo considerato “vegetariano” per definizione e uno di quelli più vituperati. Partiamo con una curiosità: io mangio pochissimo tofu, non lo compro quasi mai. Non lo compro perché nei piatti che preparo non ha quasi mai spazio. Ciò non significa che non lo apprezzi, semplicemente che non è tra le mie prime scelte. Detto questo, cerco di raccontarlo: il tofu, detto anche formaggio di soia da alcuni, si ottiene dalla cagliatura del latte di soia e si trova in panetti morbidi o più compatti. Di base non sa di nulla, o quasi. Questa frase varrà per altri prodotti in seguito e se può sembrare uno svantaggio, a volte diventa l’esatto contrario: significa poter usare un prodotto come base per preparazioni di vario tipo sapendo che acquisterà il sapore dei vari condimenti che verranno usati. Comunque il tofu al naturale non è particolarmente interessante, ma può essere usato come base per varie preparazioni (fritto, sbriciolato, frullato), mentre diventa molto più appetitoso se acquistato in versione aromatizzata: olive, pomodori, pizzaiola, ce n’è veramente per ogni gusto e, in tal caso, può essere mangiato scaldato insieme a verdure, in insalate, con le patate. Ripeto, non è il mio preferito, ma la sua fama negativa è in molti casi ingiustificata. Una cosa che ho imparato è che ogni ingrediente o quasi che venga utilizzato in cucina vegetariana dev’essere preparato con consapevolezza, altrimenti rischia di fare schifo. Ma anche la mela cotogna fa schifo se non la usate per la sua destinazione principale, no?
Soia: l’ho citata come ingrediente fondamentale, ma la verità è che se ne trovano anche preparazioni intermedie da usare poi come base per altri piatti. Tipicamente in forma granulare o di straccetti. Io ho usato spesso quella granulare come sostituto della carne trita nei ragù o gli straccetti al posto del pollo da cucinare col curry, usando come trucco quello di farli rinvenire non nell’acqua calda come consigliato, ma nel brodo vegetale per dare sapore. Non ve lo negherò: per chi è abituato alla carne l’odore può sembrare strano, un po’ legnoso, ma usato poi nelle ricette scompare e l’utilizzo è assolutamente identico. Prima di scoprire il Macì (vedi dopo) il granulare di soia era la mia scelta per preparare un ragù vegetale quasi indistinguibile da quello di carne, fatta salva una consistenza lievemente più morbida e, a volte, un retrogusto poco più dolciastro. I vantaggi della soia, per chi non è allergico, non sono pochi: ha un buon rapporto tra apporto calorico e peso, pochi grassi e combatte naturalmente i trigliceridi (o almeno così mi disse il medico tempo fa).
Seitan: famosissimo e sul podio dei maltrattati da chi non lo conosce, quasi a pari merito col tofu. Ho sentito frasi tipo “ah, ho provato il seitan e faceva schifo/non sapeva di nulla/era gommoso/era spugnoso” ecc… Bene, sappiate che se vi è capitato, allora vi è stato preparato veramente male. Non solo, il seitan stesso poteva essere stato di scarsa qualità. Già, perché il seitan, che sostanzialmente è glutine puro (cioè la parte proteica del grano, per capirci), va prodotto in modo molto attento e cucinato sapendolo fare, altrimenti può risultare spugnoso, gommoso, insapore. Se preparato bene, ma veramente bene, può fare da base per piatti deliziosi, in sostituzione a straccetti o fettine di carne: tipicamente si può usare per scaloppine, arrosti, cotolette, ragù (anche se, come detto, non è la mia prima scelta); racconto sempre che a Torino c’è un posto dove preparano delle scaloppine di seitan che si sciolgono in bocca. Per vari motivi anche il Seitan non è tra i miei alimenti preferiti. Un po’ perché quelli confezionati non sono sempre ottimi, ma anche e soprattutto perché, come detto, è glutine puro. Ora, a parte l’essere praticamente veleno per chi è celiaco, la digestione di un piatto di seitan non è sempre delle più semplici, almeno per quanto mi riguarda: di solito tendo a gonfiarmi e, soprattutto, a bere tantissima acqua, richiesta dal glutine per la sua digestione. Ancora più importante è che il seitan è privo di aminoacidi fondamentali e pertanto non è assolutamente utilizzabile come fonte proteica regolare. Ciò non toglie che quando vado in un ristorante dove so che lo preparano a dovere me lo concedo con gioia.
Tempeh: è stato una scoperta di quest’ultimo anno, di cui non sarò mai abbastanza grato. Si tratta di un prodotto ottenuto da fagioli di soia fermentati, che vengono compattati insieme e venduti a panetti. L’aspetto è originale, perché se internamente sembra sostanzialmente simile a una carne chiare, all’esterno si vedono le sagome dei fagioli di soia utilizzati, cosa che (lo ammetto) inizialmente mi lasciava perplesso. Il tempeh è estremamente versatile e digeribile e si può usare in una marea di preparazioni: alla pizzaiola, coi peperoni, in insalata, fritto. Non è insapore come il tofu, ma anzi (soprattutto quello definito alla piastra) ha un gradevole sapore con un retrogusto che ha anche un certo richiamo di nocciole. E’ nutriente, sano, equilibrato, povero di grassi. Purtroppo, però, porta circa 200 calorie per 100 grammi, il che rende necessario non eccedere nel caso di diete ipocaloriche. Ormai in casa non manca mai, sia come panetto che come preparazioni che lo usano come base.
Mopur: anche lui è arrivato da poco tra i nostri acquisti, ma non ne uscirà più. Di base si tratta di una sorta di Seitan evoluto: non è solo glutine, ma è composto anche da una buona dose di farina di legumi che va a stemperare i difetti del Seitan e a integrarne le proprietà nutrizionali. Viene usato come base per preparare salsicce, filetti e altri prodotti simili, oltre addirittura ai ripieni per certe marche di ravioli, ma la sua morte è la versione a carpaccio affettato, che non richiede alcun tipo di cottura: un po’ di olio, di limone, magari qualche scaglia di grana o pomodorini e vi trovate un piatto gustoso ed equilibrato. Il gusto? Tipo una bresaola lievemente aromatizzata, direi, ma ovviamente ha un sapore suo che bisogna riconoscere. Altra cosa che non può più mancare in casa.
Macì: ne parlavo più sopra. Si tratta sostanzialmente di un macinato vegetale (prodotto da Soiasun) a base di soia, ma integrato con altri ingredienti in modo da renderlo più consistente, saporito e dal colore più vivo (tra gli ingredienti figurano pomodoro, sale, ma anche barbabietola per il colore). È stata una scoperta eccezionale, perché il suo comportamento in cottura è identico a quello del trito di carne: ho preparato l’altro giorno delle lasagne che erano indistinguibili da un piatto tradizionale. E non lo dico per dire, assicuro che non le trovassi accettabili smetterei semplicemente di prepararmele: non mi piace accontentarmi, in nessun ambito. La grossa differenza tra il macì e il granulare di soia sta nella consistenza (meno morbida nel caso del macì, e quindi più gradevole sotto i denti) e nella mancanza di quel retrogusto dolciastro di cui parlavo sopra. Imperdibile, d’ora in poi.
Quorn: questa, per me, è una scoperta recentissima, che ho sperimentato giusto oggi per la seconda volta. Si tratta di qualcosa di completamente diverso rispetto ai prodotti citati fin qui, perché non nasce come derivato di qualcosa, ma come costruzione a partire da ingredienti di base. Già, perché il Quorn (oddio, Quorn in realtà è un marcho registrato, ma così rendo l’idea) nasce da microproteine ottenute tramite fermentazione di alcuni tipi di fungo, legati poi con albume d’uovo e altri ingredienti (il che, quindi, lo rende vegetariano ma non vegano). Il risultato è un prodotto versatile con cui vengono preparati filetti, hamburger, polpette e anche macinato. Io per ora ho provato polpette e filetti e sono rimasto estremamente colpito: totale assenza di retrogusto, consistenza gradevole, davvero un’ottima alternativa. Ottima anche per quanto riguarda l’apporto nutrizionale, dato che è ricco in proteine e fibre e ha un apporto calorico paragonabile all’arrosto di tacchino (e quindi la metà del tempeh, per capirci), per di più non contenendo soia né glutine è ottimo per chi ha allergie o intolleranze.
Ancora ce ne sarebbero, ma per ora mi fermo qui. Vorrei però aggiungere una cosa. In molti casi sento chiedere “ma perché dovete chiamare certi piatti o prodotti in un modo se non hanno carne? Chiamateli in un altro modo vostro”.
Ora.
A parte che quando iniziarono a vendere hamburger di trota o salmone non sentii nessuno alzarsi indignato verso tale oltraggio, cerchiamo di capirci.
Se qualcuno, come me, sceglie di non mangiare più carne o pesce non è detto che non ami più certi piatti: semplicemente ha deciso che non vuole più mangiarli se implica nutrirsi di un animale; se c’è un’alternativa per preparare un piatto simile, perché non coglierla? Ma, soprattutto, si toglie qualcosa a qualcuno?
È ovvio che se mangio un hamburger di soia o altro so perfettamente che non si tratta di carne, è ovvio che se parlo di salsiccia di mopur non è uguale a una di maiale: diamolo per assodato e potete tranquillamente mantenere il podio del “prodotto originale”; ma se, per comodità, definisco un cibo con un nome che ricorda ciò che va a sostituire, non vedo perché si debbano rompere le scatole.
Molti piatti sono definiti dalla cottura o dalla preparazione, non dall’ingrediente con cui sono preparati. Non avete smesso di chiamare cotolette quelle fatte col tacchino invece che col vitello, o ancora con la trota o, addirittura, con le melanzane. Non sono il piatto originale? Vero. Sono qualcosa di diverso chiamato in modo simile per rendere l’idea. Nessuno vuole rubare il trono a nessun altro, si vuole solo mangiare ciò che ci va. E, ovviamente, la cosa dev’essere reciproca, ovviamente. Non vi convince? Allora domani andate in tutti i supermercati a togliere la scritta “caffè” davanti a ogni caffè d’orzo. Non è caffè, è orzo, secondo la stessa logica.
Io sono per continuare a chiamarlo caffè d’orzo, per dire caffè, per dire cotolette di vitello/tacchino/pollo/seitan/soia, per dire ragù di carne/ragù vegetariano.
E per mangiare tutti alla stessa tavola, ognuno quello che gli va.
Si può fare?