I reietti dell’altro pianeta

Accidenti che libro difficile.
Non posso partire diversamente, perché è quello che ho pensato per praticamente l’intera lettura, ma capisco di dover partire con ordine e cercare di spiegarmi un po’ meglio.
Anzitutto, questo è il mio approccio con Ursula K. Le Guin, autrice importantissima nel panorama della fantascienza mondiale e che, stranamente, è ancora in vita: stiamo parlando di un’autrice dei livelli, potenzialmente, di Dick, Heinlein e Asimov, per capirci.
In libreria avevo la sua Saga di Terramare, ma date le dimensioni ho preferito affrontare prima questo “I reietti dell’altro pianeta” confidando in un approccio più soft date le dimensioni del volume.

Sbagliavo e  sbagliavo alla grande.
I reietti dell’altro pianeta è, a tutti gli effetti, un trattato politico in cui la vera e propria trama è talmente esile da essere quasi inutile se non per mostrarci vari aspetti di due società agli antipodi.
A parte una manifestazione, nel libro non succede letteralmente nulla, fatte eccezioni per conversazioni scientifiche e ideologiche.

E l’ideologia è il vero protagonista del romanzo: Anarres e Urras sono due pianeti gemelli; o meglio, Urras è il pianeta principale e Anarres una sua luna non del tutto inabitabile. Poco meno di duecento anni prima degli eventi narrati nel romanzo, un gruppo di dissidenti di Urras si trasferì su Anarres per costituire una nuova società definita Odoniano: praticamente una società quasi completamente anarchica, un comunismo senza alcun tipo di centralizzazione (almeno nelle intenzioni).
Urras, dall’altra parte, è una società capitalistica parecchio accentratrice, in cui i ricchi sono molto ricchi, le donne sono viste come inferiori e i poveri sono quasi schiavi.
I due pianeti hanno limitati scambi commerciali, ma gli abitanti di Urras non possono andare su Anarres (e non lo vorrebbero) e quelli di Anarres non possono andare su Urras (e non lo vorrebbero neanche loro).

Ovviamente non tutto è così semplice, perché la scienza non ha i confini della politica e Shevek, il protagonista, è un genio della fisica che ha la disgrazia di crescere sul pianeta sbagliato (Anarres), dove le sue idee non trovano terreno fertile.
Così trova il modo di andare su Urras, ma Urras sarà molto più difficile di quanto immagina.

Il romanzo si divide in capitoli alternati, uno ambientato nel presente e uno nel passato, che si congiungono alla fine e che mostrano da un lato l’approcciarsi di Shevek al mondo patinato di Urras e dall’altra il suo percorso che l’ha portato a volere abbandonare il pianeta natale.
In tutto questo, la parte centrale (come dicevo) è rappresentata dalla volontà di mostrare una società totalmente anarchica e una completamente accentratrice e cercare, nel modo più onesto possibile, di mostrare pregi e difetti di entrambe e, soprattutto, la difficoltà di mantenere una società utopica come la prima all’altezza degli standard dell’utopia stessa: quando il bisogno della società diventa eccessivo rispetto a quello dell’individuo? Quando le usanze diventano obblighi imposti paragonabili a quelle leggi che non dovrebbero esistere? Quando la mancanza di legami affettivi risulta davvero vantaggiosa e quando la loro presenza, invece, finisce di esserlo?

Questa e veramente tante altre domande saltano fuori dalle pagine di un romanzo che, come impegno politico, è paragonabile senza batter ciglio a 1984 e che se non avesse l’etichetta di romanzo di genere probabilmente verrebbe letto come classico.

Ma quali sono i difetti (che, sì, ci sono e pesano)? Il libro è difficile. Non tanto per gli argomenti trattati: quello è un rischio assolutamente normale, ma proprio per il linguaggio utilizzato e il modo di esporre gli argomenti. La Le Guin ha usato una tecnica che di solito mi piace molto (tanto che io stesso, nel mio piccolo, cerco di usare): quella di citare le cose senza spiegarle. Teorie politiche, oggetti, personaggi, elementi scientifici compaiono come assodati senza che il lettore venga accompagnato nella loro scoperta, lasciando che il quadro si formi col procedere della lettura. Peccato che lo faccia troppo. Le parole sconosciute, i concetti sconosciuti, le teorie scientifiche più o meno fittizie sono talmente presenti fin dall’inizio che si fa realmente fatica a seguire il filo logico perché si è troppo concentrati sul cercare di intuire che cosa significano.

Il fatto poi che i personaggi siano per buona parte meri espedienti per mostrare vari punti di vista e aspetti della società non aiuta ad appassionarsi alla vicenda, complice l’assenza di eventi reali (salvo uno o due su 340 pagine) in tutto il romanzo.

Quindi mi è piaciuto o meno? Alla fine la valutazione è stata combattuta tra le 3 e le 4 stelle su Goodreads, che ho deciso di arrotondare per eccesso, perché mi rendo conto che si tratta di un libro importante e pregno di contenuti; probabilmente andrebbe affrontato con una maggiore consapevolezza rispetto al suo contenuto e, altrettanto probabilmente, lo stile di scrittura (che, leggo, è molto diverso da altri suoi romanzi) non ha di certo aiutato. Per capirci, A noi vivi, di Heinlein, era un romanzo di fantascienza utopica in cui, come in questo, la trama era quasi inesistente, ma lo stile dell’autore e il suo modo di raccontare lo rende carico di un appeal molto superiore.

Ma, ripeto, questo  I reietti dell’altro pianeta resta un libro importante e interessante, al pari di 1984, Farenheit 451 e La fattoria degli animali, che mi sia stato semplice leggerlo o meno.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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