Di ritorno
Divano.
Stitch appiccicato accanto, dopo la fase di accoglienza offesa.
Valigia disfatta, umore non elevatissimo, con quella gran dose di malinconia che accompagna qualunque ritorno, soprattutto dopo uno stacco tanto atteso.
Il mondo che, mentre eri via, ha continuato a procedere e ora vorrebbe riprendessi il ritmo senza colpo ferire, che è come dire saltare su un’auto in movimento mentre sei sceso per farti una pennichella.
A maggior ragione, quindi, risulta necessario aggrapparsi a ciò che, in ogni viaggio, finisci per portarti con te al ritorno: vederlo, riconoscerlo, farlo proprio.
Così mi porto dietro la sveglia alle 4.30 per prendere un volo poche ore dopo, il sonno, la lettura, l’attendere l’arrivo di Miss Sauron a Londra, alla consegna bagagli.
Mi porto dietro Earl’s Court, la sua fermata step-free, il suo Tardis e tutta la zona di South Kensington.
Mi porto dietro gli onion rings di GBK e l’hamburger vegetariano troppo speziato, la mostra di Georgia O’Keefer alla Tate Modern e quella sui preraffaeliti alla Tate Britain, la pizza in Gloucester Road.
Mi porto dietro l’ennesima convention all’Excell, la troppa gente ai panel, i miliardi di gadget di Star Wars, i tanti cosplayer, i props originali, i tatuatori specializzai, gli artisti, il bere qualcosa su una barca sul Tamigi, il godersi la brezza, fotografare il Big Ben.
E ancora l’arrivare troppo presto alla Britain, le colazioni da Costa, la cameriera di Ottolenghi col ragazzo brindisino che vive a Bologna, i giri per negozi, il mal di piedi, il caldo, le chiacchiere con Ercole e Ian.
E poi Kensington Palace, il quartiere di Kensington, la delusione di un locale in Neal’s Yard, il giretto da Forbidden anche se imprevisto, la cena da Comptoir, il bar del Soho Theatre, le risate per Jen Kirkman, l’autografo, il tornare a casa contenti.
E tornare a Heathrow, un cambio di valigia, le partenze a distanza di 20 minuti, il tornare in due aeroporti diversi.
Mi porto dietro quella ricchezza che solo una città che hai nel cuore può donarti e la nostalgia che si prova solo dopo essere stati bene.
Dura poco, sempre troppo poco, soprattutto ora, ma è prezioso e va bene così.
E adesso torniamo in battaglia, che le pause servono a questo.