Curiosity killed the cat

Quando ero adolescente, 14, 15 anni, una cosa così, scoprii velocemente che ascoltare le canzoni che mi piacevano non mi bastava: volevo sapere cosa dicessero e volevo poterle cantare pronunciandone le parole, non inventando suoni a caso.
Il problema è che negli anni ’90 non era così semplice trovare testi di canzoni, soprattutto se quelle canzoni erano su una musicassetta o, peggio ancora, ascoltate per radio o in tv e poi registrate in qualche modo: i cd iniziarono a facilitare il compito, pubblicando i testi nei libretti, ma non era sicuramente una regola fissa.

L’unica soluzione che trovai fu la più banale: ascoltarle il più possibile, ripetendo i singoli pezzi secondo per secondo fino a capire cosa dicessero.
Non era facile, non lo era affatto.
In certi casi non lo sarebbe ora, che la mia conoscenza è ben diversa, ma ai tempi era un’impresa veramente improba per un quattordicenne con tanta passione ma ben poca conoscenza approfondita: certo, conoscevo l’inglese a livello scolastico, ma qui eravamo proprio su altri livelli.
Così mi armai del mio fedele Hazon Garzanti (quanto amavo quel dizionario), ma anche quello non fu sufficiente: le canzoni, soprattutto americane, avevano parole che non trovavo o che non avevano senso secondo il loro significato originale.
Ne parlai con la mia prof. di inglese e mi spiegò che era normale, dato che spesso veniva utilizzato un qualcosa che non avevo mai sentito nominare: lo slang.

Iniziò una nuova caccia e ancora ricordo l’emozione di quel giorno in cui alle Messaggerie Musicali di Corso Vittorio Emanuele, nel reparto libri in lingua originale, trovai un dizionario sull’American Slang rigorosamente monolingue: c’erano tutti i termini che non avevo mai sentito nominare e decine di migliaia in più! Con le spiegazioni in inglese, poi: mi sentivo così in gamba! Ho ancora quel dizionario: è uno degli oggetti da cui non mi sono mai voluto separare, anche se è su un ripiano e ormai non serve più.
Gli voglio bene.

Così iniziai a cercare di scrivere i testi delle canzoni che più ascoltavo: ovviamente non quelle dei cd coi libretti, ma tutte le altre.
Quelle di Saranno Famosi, soprattutto, impossibili da trovare altrove (ai tempi): volevo capirle, volevo sapere cosa dicevano.
Da qualche parte penso di averne ancora qualcuno scritto a penna su un bloc notes a quadretti.
Ovviamente metà di quei testi, a rivederli oggi, erano sbagliati: la pronuncia, la mia inesperienza, il fatto di ascoltare una canzone registrata su una musicassetta dallo speaker del televisore (non chiedete) non aiutavano.
Però erano verosimili.
Erano frasi sensate, magari sbagliate ma non lontane dalla realtà e mi permettevano di cantare senza sentirmi uno scemo.

E, soprattutto, mi aiutarono ad amare l’inglese,  a fare i primi passi verso la mia conoscenza attuale, ad allenare lentamente l’orecchio.

Ogni tanto, ora, mi capita di ascoltare qualcuna di quelle canzoni o altre dei tempi e di capire spesso quello che viene detto senza dovermi sforzare troppo e so bene che il merito è delle tante serie tv in lingua originale, dei libri, dei fumetti, ma non posso non pensare che tutto iniziò allora, con quella voglia di capire, con quel non accontentarmi.

E così, quando mi capita sott’occhio quel dizionario monolingua con la copertina bianca e le pagine dall’odore molto strano, io un po’ sorrido.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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2 risposte

  1. Monica ha detto:

    Anche io, attorno a quell’eta’, feci piu’ o meno la stessa cosa. Per il desiderio di imparare, di conoscere e di capire i film in lingua originale. Mi ricordo le tragedie, all’inizio, quando non capivo quasi niente. Ma alla fine, la perseveranza ha pagato. Forse, chissa’, gia’ sapevo che avrei usato molto l’inglese, in eta’ adulta 🙂

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