Brutti ricordi
Quando mangio a casa cerco di guardare, su Netflix, qualcosa che non seguo regolarmente e che, soprattutto, mi vada bene interrompere a metà e riprendere al pasto successivo.
Ho fatto così con alcuni spettacoli di comedians, coi moschettieri e con Grace e Frankie e sto facendo così con Freaks and Geeks, una vecchia serie tv di cui fu prodotta una sola stagione, con tra gli altri dei giovanissimi James Franco e Linda Cardellini.
L’avevo sentita nominare alcune volte ed ero incuriosito.
Non è esattamente come mi aspettavo, nonostante non sappia bene cosa mi aspettassi.
Non so perché ma, probabilmente, credevo che avrei visto qualcosa sulla falsariga di un mix tra Bayside School e The Big Bang Theory, ma quello che mi sta capitando è più simile a un vecchio telefilm (che non so quanti si ricordano) che era stato intitolato in Italia “Compagni di scuola”.
In sostanza non è quasi per niente un comedy, ma soprattutto un drama o, comunque, una serie che mostra in modo mediamente realistico la vita di alcuni adolescenti un po’ emarginati nei primi anni ’80: emarginazione che può nascere dall’essere Freaks (ovvero quelli un po’ strani e/o sbandati) o Geeks (o Nerd, che dir si voglia, anche se Geeks, in questo caso, è usato più nell’accezione pura di secchioni senza alcuna capacità sociale).
Ecco, il problema è che a volte guardarla fa male.
Fa male perché scatena ricordi che, pur nascosti piuttosto in fondo, non sono mai cancellati del tutto.
Perché tra quei Geeks c’ero anch’io e certe scene di bullismo, di prese in giro, di soprusi sono, semplicemente, vere.
Ieri ho visto un episodio in cui un ragazzino finisce per trovarsi completamente nudi nei corridoi della scuola perché i soliti bulli lo trovano divertente.
Divertente.
Umiliazione pubblica, cosa c’è di più divertente, no?
Avevo all’incirca la stessa età.
Quando c’era educazione fisica a scuola andavo in tuta (sì, abitudine stupida, ma questo non cambia le cose).
Qualche simpaticone della mia classe trovava molto divertente la cosa.
Tanto divertente che, periodicamente, si aggrappava ai pantaloni della tuta per tirarli giù.
In classe.
Ora sicuramente saprei metterlo al suo posto, saprei reagire.
Ora sono un’altra persona.
Ai tempi no.
Ai tempi, semplicemente, mi incazzavo, li tiravo su, mi lamentavo.
Mi sedevo al mio banco sperando trovassero in fretta altro di cui ridere.
Qualcos’altro.
Qualcun altro.
Poi un giorno accadde.
Ero stufo, arrabbiato, non lo so.
Il tizio lo rifece e io lo colpii sulla schiena.
Un pugno, due, tre, non ricordo, so che non furono sufficientemente forti da fargli veri danni (era bello robusto), ma abbastanza da farlo scattare preoccupato, guardami in modo stupito e allontanarsi.
Qualcuno, ricordo, mi chiese se fossi impazzito, che avrei potuto ucciderlo colpendolo così forte sulla schiena.
Giusto: nessuno che si preoccupasse mai del fatto che quel gesto fosse umiliante, ma quando l’umiliato reagiva ci si chiedeva perché.
Tipico, no?
“Avresti potuto ucciderlo”, mi disse.
Risposi urlando “meglio così”.
E ne ero convinto, in quel momento, per pochi secondi.
Non capitò più.
Mai più.
Non so se per i pugni, per la reazione o per quel “meglio così”.
Non lo so.
A me andò bene, alla fine, anche se molte cicatrici rimangono anche a distanza di quasi trent’anni.
A molti non succede: sia perché secchioni, timidi, grassi, magri, gay, musulmani, neri o qualunque altro motivo.
A molti non succede.
Qualcuno finisce male.
Qualcuno reagisce male, rendendo quel “meglio così” qualcosa di molto peggiore di due parole urlate in rabbia.
Ma per certa gente umiliare è così divertente.