Non si finisce ma di ribadirlo

Mi è capitato sott’occhio, oggi, un articolo sul post in cui Mantellini difende una scelta di MediaWorld di far pagare certi servizi ai clienti.

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Leggendo l’articolo mi sono chiesto se davvero ci fosse bisogno di giustificare apertamente questa scelta, poi ho letto i commenti e ho capito; se, infatti, da un lato ci sono persone che comprendono e approvano, ne ho letti troppi che invece hanno gridato allo scandalo.

“Ladri”
“Farsi pagare per installare una app quando ti ci vogliono pochi minuti”
“Ah, io queste cose le faccio in un attimo, vergognatevi”
“Cosa vi costa dare una mano?”

E via dicendo in questo modo.

Ora, fatemi capire una cosa: se voi andate in una qualunque attività vi aspettate che facciano un lavoro per voi senza farsi pagare?
Magari andate da un tassista, vi fate portare in giro per cinque o dieci minuti e gli dite “ma sì, dai, cosa ti costa?”.
Funziona così?
Perché mi spiace disturbare le vostre fragili menti, ma l’atto di chiedere un addestramento o di fare un’attività al posto vostro all’interno di un ambito commerciale è richiedere un cazzo di servizio.
Il servizio va pagato.
Punto.

Costa troppo? Non chiedetelo.
Non sapete come fare? Non è un problema di chi lavora in un negozio.
Se comprate un’auto e poi non la sapete guidare, andate a chiedere lezioni di scuola guida alla concessionaria?

“Io le app le installo ogni giorno”: bene, quindi? Vuoi un premio? Evidentemente se una persona va a chiedere in un negozio di farlo per lei vuol dire che non è capace (o non ne ha voglia), quindi si rivolge a qualcuno capace: se vuole un favore può andarla a chiedere a qualcuno disposto a farglielo, ma non in un’attività commerciale.
Tu, che sei tanto bravo, ad esempio potresti offrirti volontario.

Lo sdoganamento dell’elettronica, di tablet e smartphone, dell’informatica in genere ha portato tanti vantaggi, ma anche queste fottute conseguenze: che chiunque si ritenga in diritto di poter avere e usare certi dispositivi senza imparare a farlo, affidandosi al “buon cuore” di qualcuno che li aiuti.
Che poi questo problema mica riguarda solo il mio campo: penso ai tanti amici avvocati a cui viene chiesto un parere “in amicizia”, così come ai tanti lavoratori professionisti che in qualche modo possono subire richieste del genere.

L’aiuto ci può essere se una persona è vostra amica (ma, gentilmente, non ve ne approfittate e se la persona lo fa per lavoro fate almeno il gesto di voler pagare), parente o affine: sta a lei decidere se farlo e, sopratutto, se lasciare che sia un favore o chiedervi qualcosa. E magari sarebbe carino che non la riteneste stronza nel secondo caso.

Ma se chiedete aiuto a chi lo fa per lavoro, allora perdete ogni diritto alla “mano gratuita”; si chiama consulenza e la consulenza si paga: poi, ovviamente, può capitare che il professionista o l’impiegato decidano di venirvi in contro, ma è una loro scelta, non può e non deve essere una vostra pretesa.

Tra l’altro non vi sorge il dubbio che se una catena arriva a chiedere soldi per una certa attività, forse, è perché la richiesta è diventata ingestibile? Perché, magari, i dipendenti si trovano a perdere troppo tempo in attività in perdita come dare spiegazioni a clienti (che magari non hanno neanche comprato in negozio) con la scusa del “cosa vi costa”?
Davvero credete che se i casi fossero così pochi si sarebbero sprecati a fare un tariffario?
Per 10 euro?
Questa è la classica situazione da deterrente, cari i miei geni: visto che lo chiedete troppo spesso iniziate a pagare per chiederlo; se davvero vi serve, allora pagherete, altrimenti non ci fate perdere tempo prezioso.

Pertanto ben venga MediaWorld che si fa pagare anche per installare un’app su un cellulare: magari inizierete a capire il valore dei vari “cosa ti costa” che chiedete.

Una volta per tutte.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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