362. Si stava meglio…
Parliamo d’altro, stasera, vi va?
Sembra che a Milano chiuderà a breve la libreria Puccini.
Per chi non è della zona, si tratta di una delle due librerie più grandi e storiche di Corso Buenos Aires.
L’altra era la libreria del Corso, che ha chiuso pochi mesi fa.
Ovviamente mi dispiace: alla libreria Puccini meno, ma alla libreria del Corso ho speso tanti di quei soldi, negli anni, che avrei potuto diventarne azionista.
Oggi, sotto la notizia, ho letto l’ennesima sfilza di commenti qualunquisti ed esagitati di gente che, ovviamente, giudica stando seduta in poltrona.
Quelli che “certo, perché ormai in Italia non si legge più”, quelli che “ecco, ora ci metteranno un negozio di abbigliamento, come non ce ne fossero abbastanza”, quelli che “ecco, voi comprate il kindle e c’è gente che quindi chiude le attività” e via dicendo in questo modo.
Nessuno a chiedersi davvero perché una o più librerie stiano chiudendo.
Il problema è che in Italia non si legge più? Su, in Italia non si è mai letto tantissimo (e comunque più che in altri paesi e meno che in molti altri), piantiamola di fare i nostalgici o quelli che “ai miei tempi era diverso”.
Ai nostri tempi era diverso perché i libri costavano meno. Ai nostri tempi era diverso perché non c’era alternativa. Ai nostri tempo era diverso perché o si andava in una certa libreria, due, massimo tre o ci si attaccava.
Ecco cos’era diverso.
In libreria ho sempre comprato molto, soprattutto gli acquisti istintivi, quelli del tipo “ho visto una copertina, ho letto il trafiletto, lo compro”.
Alla libreria del Corso, dicevo, andavo e compravo con molto piacere.
Alla Puccini già meno: non mi piaceva molto la logistica nella sede originale, mi piaceva molto meno quella nella nuova sede. Sembra una cretinata, ma anche questo conta.
Nel frattempo ho cominciato a comprare on line.
Tutti, da una vita, ad attaccare Amazon come il gran nemico da contrastare.
È Amazon il problema? E, soprattutto, è un male che lo sia?
Io, si sa, amo alla follia Amazon: ricevo i libri (e altro) in un giorno appena escono, se ci sono problemi ho un servizio clienti eccellente a disposizione, se cerco qualcosa è più facile che lo trovi (anche se, alla fine, i libri in lingua li compro più facilmente su Bookdepository, per dire).
Di preciso dov’è la colpa? Nel fatto che apprezzi un buon servizio? Che tra il girare in tre o quattro librerie per trovare una cosa che cerco e, magari, doverla ordinare, attendere giorni, doverla passare a ritirare preferisca il verificare in tempo reale se è disponibile e trovarmela a casa il giorno dopo?
Ma, togliendo Amazon, dov’è la colpa nel comprare in una grande catena? Se Feltrinelli in Duomo o in Piazza Piemonte ha un catalogo che mi dà più possibilità di scelta, è una colpa usufruirne?
Il problema sta lì. È vero, sono entrati nuovi concorrenti sul mercato, concorrenti potenti e agguerriti e il terreno di gioco è cambiato. In una situazione del genere come si sopravvive?
Ci sono due modi, quello tipicamente italiano e quello giusto.
Quello tipicamente italiano è cercare di difendere gli interessi di una categoria imponendo regole sempre più severe e restrittive, di solito a scapito dei consumatori.
MI viene in mente le scene dei tassisti contro Uber, dei farmacisti contro la vendita di farmaci da banco al supermercato e via dicendo.
In Italia si è cercato di fermare Amazon (e i grandi distributori) ponendo limiti agli sconti promozionali. Limiti assurdi che, ovviamente, non hanno danneggiato qualcuno con le spalle abbastanza grandi da assorbirli, ma si sono ritorti contro quelle librerie che tanto li avevano richiesti.
Un esempio sono proprio le due librerie di cui parlavo all’inizio: in un certo periodo dell’anno entrambe lanciavano una promozione e vendevano tutti i libri col 30% di sconto. Tutti. Per settimane. Non so se avete idea di quanto abbia speso (e così una marea di altra gente) in quei giorni. Magari non era chissà quanto redditizio, ma sono certo che aiutasse a coprire molti costi.
Coi nuovi limiti non è stato più possibile. Chi ci ha rimesso?
I lettori, ovvio, ma di sicuro anche le librerie che questa normativa voleva proteggere.
Geniale.
Ma no, il problema è Amazon. Non è, invece, che gli editori usano i lettori abituali come limoni da spremere alzando a dismisura i prezzi di libri cartonati ed economici. Affatto. Inutile ricordare che un libro economico di pessima qualità costa oggi quanto se non di più un rilegato di alcuni anni fa.
Se mi fai comprare qualcosa di più, io ne compro di meno. È matematica di base.
E se un negozio in Corso Buenos Aires è soggetto a una tassazione assurda e a costi di affitto mostruosi, prima o poi finisce per non starci dentro. Anche questa è matematica.
Il proprietario della Puccini ha avuto il buon senso di parlare esclusivamente di un carico fiscale troppo elevato, dimostrando onestà intellettuale, molta più di quella di tanti leoni da tastiera che si lamentano di una chiusura e che, probabilmente, in quelle librerie ci hanno messo piede una o due volte convinti di aver dato loro da mangiare a vita.
No, la strada per la sopravvivenza sta altrove. Non ho la bacchetta magica, ma penso che l’unico modo per una qualunque attività per restare a galla sia dare al cliente ciò che altri non danno. E non basta la tanto citata “competenza”, così come non basta il rapporto umano. Sono i servizi, che devi fornire. Sono quei qualcosa in più che mi portino a dire “ok, potrei ordinare on line, ma se vado in quella libreria ho questa cosa in più”. Così si sopravvive.
Non lottando su un terreno ormai ostile.
Non proteggendosi dietro muri che poi soffocano anche chi dovrebbero difendere.
Non spremendo all’eccesso gli acquirenti che ancora ci sono.
Non inveendo contro il nuovo.
Trovando nuove offerte, nuove idee, nuovi modi di porsi.
Difficile? Assolutamente sì.
Di sicuro successo? Per niente.
Ma è anche l’unico vero modo.
Il resto è tapparsi occhi e orecchie e sperare che il mondo sia migliore dopo un po’ e solo perché lo vogliamo.
Una rivelazione: ci ho provato parecchie volte, in questi giorni. Non funziona.
Un ultimo appunto.
Oggi, tra i vari commenti, ho letto un tizio che diceva, riporto testualmente, “tu leggi con il kindle e tanta gente chiude attività! Tu che lavoro fai… occhio prima o poi arriveranno ovunque e forse poi capirai” (ho riportato la punteggiatura usata, non volevo snaturare un messaggio tanto profondo).
Allora.
Punto 1. io (e tanti altri) leggiamo col kindle e ne andiamo fieri. Rubiamo? No. Paghiamo i libri che leggiamo esattamente come li compra cartacei (io non faccio testo, compro da una parte e dall’altra). Quindi? Siccome il kindle (ma, rivelazione, esistono anche tanti altri e-book reader e siti che vendono e-books) è di Amazon allora è il male? Funziona così?
Punto 2. il mondo del lavoro cambia. Il mondo del commercio cambia. Fatevi una cazzo di ragione al riguardo. Volete la bottega del paesino di Heidi? Tornate su quelle cazzo di montagne e, soprattutto, non usate la tecnologia. MAI. Ergo uscite da questi maledetti social.
Per la cronaca: io, tra le altre cose, a inizio attività vendevo pc anche ai privati. Non era chissà quale entrata, ma un piccolo arrotondamento a volte tornava comodo. Poi sono arrivate le grandi catene e dopo ancora è arrivato Amazon e io non avevo più mercato: impossibile contrastare quei prezzi. Ho smesso o quasi, fornendo ai clienti altri servizi e consigliando loro per primo di acquistare on line o in qualche centro commerciale per risparmiare. A volte lo fanno, altre (sorpresa) preferiscono comunque comprare da me. Quindi sì, da me sono già arrivati e sono sopravvissuto. Con le librerie è più difficile? Certo. Ma questo è il mondo attuale. Facciamocene una ragione. Poi, se vogliamo, attacchiamo i costi fissi necessari a un negoziante, artigiano o imprenditore per tenere aperto, andiamo a parlare di peso fiscale, di costi di gestione elevati, di INPS spropositata, di cose vere, di problematiche reali.
Ma piantiamola, per favore, di rompere le palle con “si stava meglio quando si stava peggio”.
Che il passato, si sa, è sempre più bello da ricordare a posteriori.
E, con le dovute modifiche, questo discorso regge anche per altri tipi di attività.
Assolutamente sì