232. Torniamo sull’argomento
Una delle tante cose che vengono sottovalutate quando si parla del lavoro autonomo è la gestione delle tempistiche.
Sarebbe bello poter lavorare per progetti consequenziali, in cui finito uno ne inizia un altro e, insieme, garantiscono una continuità di entrate che solo chi è in proprio sa quanto sia una chimera.
Ovviamente non avviene quasi mai così e a periodi relativamente scarichi, in cui ci si barcamena per cercare nuovi clienti o far partire nuovi progetti con clienti esistenti, se ne susseguono altri in cui sembra che tutto debba essere fatto subito, anzi, ieri.
Uno potrebbe obiettare che se sei troppo carico basta rifiutare i progetti in più.
Già.
Peccato che un lavoro rifiutato è un lavoro perduto e se rifiuto un progetto di una certa dimensione quando arriva, il risultato sarà al 99% che tra un mese o due, quando magari sarò scarico, i soldi di quel progetto mi avrebbero fatto comodo per continuare a concedermi lussi tipo il mangiare tutti i giorni.
Per cui se un lavoro arriva e ne vale la pena lo accetti.
Anche se hai già quattro o cinque giorni pieni.
Anche se non hai ben chiaro quando diamine ci lavorerai.
Lo accetti confidando che quei giorni non siano così pieni.
O sperando che le giornate si allunghino miracolosamente.
O iniziando a pensare che una o due ore di sonno per notte, alla fine, siano sufficienti.
E, ripeto, non è ingordigia.
È cercare di prendere quel che c'è quando c'è, sapendo che domani i rubinetti potrebbero chiudersi.
Fa parte del lavoro autonomo.
Di quel meraviglioso “ah, che fortunato che sei, puoi lavorare quando ti pare” che mi scatena ogni volta gli istinti omicidi.
Intanto oggi ho lavorato dalle 9 alle 21 con, in mezzo, giusto il tempo di fare un po' di spesa e la settimana si preannuncia su questi livelli.
Se mi va di culo, forse tiro il fiato a metà mese.
Nel frattempo vado a dormire per farmi passare l'emicrania.