161. Cronache di una domenica qualunque
L'idea era piuttosto precisa. Alzarti quando ti fosse andato, guardare il nuovo episodio del Dottore, pranzare e poi vedere cosa fare, se stirare subito, leggere qualcosa, scannerizzare qualche foto o chissà cos'altro, ma stando in casa.
La giornata, però, la pensava diversamente.
Cielo azzurro, sole, aria calma, come fare a rimanere in casa con davanti il pensiero di una settimana lavorativa?
Così rispetti il programma fino al pranzo, ma poi prendi il tuo libro ed esci, deciso a leggerlo su una panchina da qualche parte.
Non sai bene dove andare: le tue adorate piazza Gae Aulenti e Darsena mal si prestano. Di posti dove sedersi ce ne sono tanti, di panchine poche e la tua schiena non reggerebbe una mancanza di appoggio per tutto il pomeriggio.
Passi in rassegna due o tre posti, la Besana, i Giardini Pubblici, ma finisci per optare per il Parco Sempione, ricordando che oggi Corso Buenos Aires è chiuso e girare in macchina sarebbe un problema.
Trovare posto dal lato del Castello è quasi impossibile, ma trovi facilmente dal lato opposto. Oggi non si paga, tanto di guadagnato.
Raggiungi prima l'Arco della Pace, poi passeggi un po' nel parco. Le banchine libere sono tutte al sole, inizi a preoccuparti. Compri da bere e ne vedi finalmente una, libera anche perché un po' “bassa” rispetto alle altre.
Ti siedi.
Inizi a leggere.
E inizi a osservare il mondo, alternando le pagine alla vita senza soluzione di continuità.
In tre ore, davanti e accanto a te sfilano esempi di varia umanità che ammiri con curiosità, divertimento, interesse.
Coppie, gruppi di amici, genitori single che portano in giro i figli.
Nel prato molti e molte prendono il sole: alcune sono arrivate evidentemente con l'intento e si sono messe direttamente in costume, altre non sono così sicure di sé o organizzate e stanno semplicemente sdraiate così come sono vestite.
Un padre (o uno zio) gioca a pallone col figlio. O meglio, lui tira e il figlio non para, ma si diverte e va bene così.
Un uomo ti passa davanti con una bici con due seggiole, una davanti e una sul retro. Entrambe hanno un pargolo e, attaccato alla struttura, c'è un enorme pallone che galleggia allegro nell'aria.
Dietro vedi arrivare una famigliola con un bimbo che ti arriverà sì e no al ginocchio. Biondo quasi abbagliante, berretto azzurro indossato storto, sfreccia col suo monopattino come altri farebbero con una moto.
Un uomo senza età, ma di certo piuttosto anziano, si siede sulla tua panchina. Berretto Ferrari, borsello Michael Kors, mocassini, calzini bianchi, occhiali da sole. Tira fuori il Corriere e lo legge.
Di nuovo la tua mania delle linee che si sfiorano ti torna alla mente. Che vita fa quell'uomo? Perché è lì, da solo, di domenica pomeriggio? Dove andrà dopo?
Non glielo chiedi per pudore. Lui, dopo una mezz'oretta, chiude il giornale e se ne va.
Continui a leggere, in sottofondo un sax che suona non troppo lontano e una fusione di dialetti e lingue che solo una città come Milano può avere.
Sul prato si sono sedute tre amiche con una bicicletta. Una ha un golfino, una indossa una maglietta, la terza una canotta. Le prime due, dopo un po', capiscono che fa troppo caldo e si spogliano di uno strato. La canotta resta lì. Parlano sedute, poi sdraiate, finché non arriva l'ombra e l'aria fresca. Di nuovo le linee. Di nuovo che cosa si saranno raccontate? Di chi era la bici? E le altre due erano in auto o in metro o a piedi?
Sulla panchina arrivano due anziane. Una tira fuori dalla borsa un cartoccio di stagnola con dentro due oro saiwa. Ne estrae uno, mette il cartoccio via. Si libera la panchina di fronte, decidono che la vogliono per loro e se ne vanno.
Una ragazza orientale le sostituisce. Parla al cellulare, a voce un po' troppo alta per te che vuoi leggere, ma smette quasi subito. Chiude gli occhi, appoggia la testa indietro, batte i piedi al tempo di percussioni che, in lontananza, hanno preso il posto del sax.
Tu leggi.
Una bambina bionda in giro con due ragazze filippine che le parlano un po' in italiano e un po' in inglese si ferma a guardarti perplessa. Gli occhi assurri spalancati. Intanto sembra trovi saporitissime le sue dita, considerando quanto se le sta succhiando.
Leggi.
Passa una signora con un cane al guinzaglio e due bambini. La senti che dice “chiaro, quindi? Le famiglie possono essere molto diverse tra loro. L'importante è che le persone si amino”. Vorresti andarla ad abbracciare. A ringraziarla di averti dato un po' di speranza.
Intanto la ragazza orientale se n'è andata e una coppia di anziani prende il suo posto. Loro chiedono se possono. Rispondi con un sorriso. Sono tranquilli, accento meridionale, chiacchierano a bassa voce. Lui, dopo un po', ti chiede che libro stai leggendo. Ha voglia di parlare, si vede, e tu ne hai poca ma pensi che è stato gentile e lo lasci fare.
Ti chiede se sei in pensione (argh), se sei di Milano, che lavoro fai. Ti racconta, in pochi minuti (e senza che tu capisca come c'è arrivato), di quando lavorava in Cancelleria, dei Carabinieri che ai tempo facevano indagini serie e non come ora che le fanno in tv, di detenuti che bruciavano armadi di legno, di giudici arrivati da Bolzano, di un divano rotto da un giudice con un'amichetta.
Ti dice che il dramma è stato Di Pietro che ha portato i computer e sbaglia i congiuntivi che neanche sua nipote sbaglia.
Lei, la moglie, ridacchia, come una che ha sentito quelle storie migliaia di volte, ma ancora si diverte.
Ridono allegri di un adolescente che smadonna al telefono, poi ti chiedono dove prendere il tram più vicino. Si alzano, lui ti stringe la mano e si presenta. Ha lo stesso cognome di un vecchio imitatore e un po' gli somiglia, anche.
Prosegui a leggere il tuo libro che non sai se ti sta piacendo più di tanto, ma parla di Milano e oggi è perfetto. Ti piace stare lì, guardare il mondo, desiderare conoscere qualcuna di quelle vite e odi sapere che nessuna vita sarà mai sufficiente a contenerne quante ne vorresti.
Davanti a te passano cani (quanti cani), bambini in bici, genitori in BikeMi, coppie che si esplorano le tonsille e altre che camminano a due metri di distanza.
Una coppia di signore anziane chiede se può sedersi: una delle due porta un cuscino per alleviare la seduta all'altra.
Sono tranquille, non stanno molto, sono pacate.
Quelle successive le appenderesti, quando senti che parlano male di tatuaggi e degli “immigrati che li hanno portati quando potevano starsene a casa loro”. Non sai se odi di più quel che stanno dicendo o il profumo da vecchia stantia che portano. Per fortuna si fermano poco, altrimenti ti avrebbero rovinato la fine della giornata.
Un ragazzo di colore si avvicina per provare a venderti un libro. Si chiama Samba, dice. Insiste un po' ma è educato e sorridente e tu gli sorridi spiegandogli che no, almeno stavolta non ne puoi proprio comprare. Se ne va sorridendo, chiamandoti per nome e stringendoti la mano.
Leggi.
Alzi la testa dal libro. Il prato si è quasi svuotato, l'ombra sta arrivando un po' ovunque. Finisci di leggere il capitolo, senti un languore, pensi che una pizza stasera ci starebbe proprio.
Ti incammini verso la macchina, continuando a guardare il mondo.
Due amiche sedute su una panchina. Due birre, patatine, due libri. E sì, ti sembra sia proprio un bel modo di godersela.
Un bambino piange disperato. Si è morso la lingua. Il padre gli dà del pistola (quanto odiavi che ti si prendesse in giro se già ti eri fatto male), la madre gli dice che gli sta bene. Poi però si mette a correre per farsi inseguire e distarlo. Il bimbo smette di piangere e le corre dietro. Sembra che alla fine si sia tagliato la lingua, ma non vuole andare alla fontana. Stanno andando via, quando il bambino vede un ragazzo di colore sdraiato su una panchina. Chiede cosa stia facendo. La madre gli risponde che sta dormendo e di non essere maleducato, di non disturbarlo che quando lui dorme non vorrebe certo essere svegliato. Lo fa con gentilezza, senza traccia di supponenza verso il ragazzo. Il ragazzo si sveglia, sorride al bambino. La famiglia si allontana.
Te ne vai nella loro stessa direzione.
Controvoglia, come ogni volta in cui sei uscito dal flusso della tua vita e ti fa fatica rituffartici dentro.
Guardi l'Arco della Pace. La luce che scende sul Castello.
E ami un po' di più la tua città.
Il bimbo con il monopatino l’ho visto anch’io quest’estate! Probabilmente abita nel quartiere e mi aveva colpito per l’agilità con cui andava pur essendo piccolissimo.
Mi sembrava di essere seduta con te sulla panchina…che bella sensazione!
Bella la coincidenza e bello ancora di più l’effetto che dici 🙂 Grazie!