132. Back home. Maybe.

Tornare a casa dopo alcuni giorni o settimane soprattutto se di ferie porta sempre con sé una sorta di disallineamento tra ciò che siamo stati in quel periodo e ciò che eravamo prima e saremo dopo.

Le vacanze, ma anche il semplice andar via, ci asportano dalla nostra stessa vita portandoci in una nuova che diventa molto velocemente il nostro nuovo status quo.

Poco importa che sappiamo alla perfezione che durerà poco, per viverlo appieno dobbiamo accoglierlo come se diventasse la nostra nuova vita (e, in molti casi, quanto sarebbe bello se così fosse).

Così torniamo e scopriamo che il nostro mondo di provenienza è andato avanti come nulla fosse.

Qualche lavoro stradale in più o in meno.

Posta in casella.

Una deviazione che non ricordavamo.

Non importa quanto siamo stati via, in qualche modo il nostro mondo di provenienza è diverso da quel che era perché noi non l’abbiamo vissuto in quei giorni.

Poi rientriamo nel flusso, ma è spesso una sorta di piccola violenza (oddio, a volte neanche tanto piccola) che ci facciamo: siamo tornati da un viaggio, siamo diversi da ciò che eravamo prima di partire, come possiamo pretendere di tornare a vivere esattamente le stesse vite?

Ecco.

Forse qui sta uno dei motivi (assieme al capodanno celtico) per cui per me l’anno finisce con l’estate.

È il momento del reset.

Sono uscito dalla mia vita e ora, prima di rientarci, la vedo da fuori.

E la voglia di rinnovarla esplode.

Come ad ogni settembre.

Come ad ogni ritorno.

Il viaggio è la crisalide.

Il ritorno è l’incisione nella protezione, per permettere che la pelle sottostante si indurisca e sia pronta per il mondo esterno.

L’incisione è pronta.

Io pure.