110. L’anacronismo di un blog

Da quando ho intrapreso la sfida del post al giorno e da quando ho deciso di condividere i post anche su Facebook oltre che su Twitter sono rimasto piacevolmente colpito.

Questo blog non ha mai avuto chissà quale pretesa letteraria o chissà cos’altro.

Il suo unico scopo è ed è sempre stato quello di permettermi di scrivere, farmi leggere e raccontare ciò che mi rimbalza nella scatola cranica.

Molti potrebbero ritenerla una scelta anacronistica.

Ci sono i social, d’altronde.

Twitter.

Facebook.

A che serve un blog?

Non puoi scrivere di là quel che scrivi di qua?

Eppure a me sembra così evidente.

Un post su Facebook quanto dura sotto i vostri occhi? Qualche minuto? Qualche ora?

Per non parlare di un Tweet, che potrebbe sparire velocemente immerso nel rumore di fondo di migliaia di altri.

Scrivere su Facebook e su Twitter equivale, in qualche modo, a cercare di parlare a un gruppo di amici o conoscenti in un ambiente affollato.

Qualche parola arriverà, molte no, qualcuno si sarà alzato a prendere da bere mentre parlavate, qualcun altro non sarà riuscito a sentirvi perché troppi accanto urlavano, non capirsi diventa più che semplice e anche qualche scenata o litigata può essere più o meno giustificata.

Un blog è diverso.

O almeno certi blog sono diversi.

Un blog è una stanza in penombra.

Magari un fuoco acceso.

Volendo della musica in sottofondo.

E chi lo scrive seduto in un angolo ad aspettarvi.

A invitarvi a prendere posto.

Offrirvi un caffé, un té, un brandy, quel che volete.

E quando vi siete messi comodi inizia a raccontare.

Non importa cosa.

Può essere una storia di fantasia, un ricordo, un libro letto, un film visto, una riflessione, anche uno sfogo.

Ma quel che conta è che racconta con calma e voi, seduti comodi in poltrona o sul divano, magari a occhi chiusi, lo ascoltate.

Ci saranno volte in cui vi piacerà ciò che avete ascoltato, altre che lo detesterete o lo trovere poco interessante.

Ci saranno occasioni in cui avrete voglia di discutere di ciò che vi è stato appena raccontato, altre in cui vi alzerete e ve ne andrete senza aggiungere nulla.

Ma avrete avuto qualche minuto di pausa.

Con un fuoco davanti, con una voce (si spera) amica a raccontare, con una buona bevanda in mano.

Un minuto per voi, condiviso da qualcuno che aspira solo a raccontare.

Poi potrete tornare alle vostre feste, agli eventi, ai luoghi affollati.

Ma saprete sempre che, quando vorrete, ci sarà quella stanza in cui tornare, con un nuovo racconto ogni giorni e tanti da recuperare se magari siete arrivati da poco.

E, magari, la vivrete come una coccola.

Come chi mi ha detto che l’ultima cosa che fa ogni sera è leggermi.

O chi si iscrive per non perdere neanche un post.

O chi commenta qui o su facebook per dire che è d’accordo o meno, per fare un complimento, per lasciare traccia.

Ecco perché un blog.

Perché di momenti dedicati al racconto non ce ne sono mai abbastanza.

Si per chi racconta che per chi si fa raccontare.

Però, mi si potrebbe dire, il fatto che condividi i tuoi post su Facebook e Twitter non ti contraddice?

No.

Direi di no.

È semplicemente affacciarsi alla festa e dire “ehi, per chi ne avesse voglia di là c’è un racconto nuovo. Quando volete vi aspetto” e poi tornare di là a preparare il caffè.

Che, si sa, il caffè scaldato fa quasi sempre schifo.

 

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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2 risposte

  1. ziacris1 ha detto:

    È giusto quello che dici, ma i blog hanno perso tanto con l’avvento di Facebook e Twitter, perché le persone non hanno più tempo di fermarsi e ascoltare, i social sono immediati e non richiedono grosse riflessioni, clicchi un “mi piace” è il tuo dovere l’hai già fatto. Che tristezza

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