106. Il punto della situazione. O anche no.
1.18.
Ho iniziato a scrivere questo post diverse volte, ma le parole non sembrano voler prendere la forma che ho in mente. Probabilmente perché in mente non ho una forma da far prendere loro.
Almeno credo.
Quindi lasciamo fluire, non significherà assolutamente nulla, ma tra vent'anni qualcuno, rileggendolo, troverà magari un significato sicuramente non voluto. E diranno che era ovvio.
Sono seduto in poltrona per la prima volta da anni, una poltrona che non avevo comprato io, che non era “mia” e che effettivamente non è affatto scomoda.
Ipad e tastiera sulle gambe, uno dei migliori acquisti che abbia mai fatto, la soddisfazione di scrivere qui sopra è veramente notevole. E il portatile mi avrebbe già ustionato le cosce.
Ho trascorso 10 ore al pc per terminare un progetto. Un progetto che potrebbe essere inizio e fine (almeno in certi termini) del lavoro con un cliente, ma è una mia decisione e va bene così. Non ho mai avuto problemi a prendermi carico delle mie decisioni. E chi non comprende la differenza tra scegliere di lavorare fino alle 21 e dare per scontato che si debba farlo può girare al largo. Molto al largo.
Mi sono guardato due episodi di Arrow. Mi diverte e a volte non chiedo altro.
Mi sono sentito chiedere se Gaiman scrive bene quanto me: un po' come chiedermi se Bolt corre veloce quanto me. Non sono stato incenerito da un fulmine, è già tanto. (Ma, lo ammetto, sono arrossito imbarazzato come raramente prima, chi non lo sarebbe?). Dopo di che la stessa persona si è comprata il primo volume di Sandman. Inizio a pensare che il buon Neil potrebbe pure riconoscermi qualche benefit per il numero di lettori che gli ho procurato. Per dire.
Mi si preannunciano ancora nove giorni lavorativi che, potenzialmente, saranno una maratona. Ho bisogno di ferie. Ma ho anche bisogno di fatturare (ah, voi freelance che potete riposare quando volete…), per cui stringo i denti e cerco di sopravviere fino al 7.
Stitch e Zen si sono fatti spazzolare per più di mezz'ora. E se Stitch non è particolarmente degno di nota, con Zen si parla di una conquista di poco inferiore al rimorchiare Eva Green in un bar soltanto con lo sguardo.
Ferie.
Tre settimane.
Una a Londra.
L'abbigliamento per il matrimonio è scelto.
La voglia di festeggiare la felicità dei nostri amici è già in valigia.
La voglia di abbracciare Londra non manca mai.
E di parlare inglese. Sembra strano, ma ne ho una gran voglia.
Domani una persona che conosco su Twitter parte per New York e io sono finito in crisi di astinenza. E se penso che per partire la prossima volta non mi basterà l'Esta mi brucia qualunque cosa possa bruciarmi. Ma gli stronzi vincono e gli ingenui ne pagano le conseguenze. Ovvio.
Tre settimane. Passano così in fretta. Il tempo di decidere cosa fare che sono passate.
Ma cercherò di scrivere. Devo scrivere. Devo finire questa parte e mandarla a chi avrà ancora voglia di leggerla. Ne ho bisogno, anche per ricaricarmi coi feedback.
Tre settimane.
Ci sarà il guardare il cielo, qualche mostra, forse un giro in battello, un concerto, un compleanno, un po' di musei.
Ci saranno due aerei e qualche treno.
Ci sarà da ritrovarsi per poi ripartire.
Nove giorni lavorativi.
Poi tre settimane.
E poi si vedrà.
As usual.
Come tutti i tuoi post anche questo lo trovo pieno di significati e per leggerti è sempre un piacere e un momento di svago mentale.
Ma la parte che oggi mi piace di più è questa:
“Ma cercherò di scrivere. Devo scrivere. Devo finire questa parte e mandarla a chi avrà ancora voglia di leggerla. Ne ho bisogno, anche per ricaricarmi coi feedback”!!!
Sono in attesa, in attesa frenetica di come stia evolvendo la situazione ed avendo letto tutti e 2 gli step precedenti e non vedo l’ora di rileggerti”””
Te l’ho già detto e non mi stancherò mai di ripetermi: sei un grande scrittore!!!
Un abbraccio.
Assolutamente sovradimensionato, ma grazie 🙂