78. Di promesse fatte a noi stessi
Questo post ha un grosso rischio di risultare contorto, ma cercherò di renderlo il più leggibile possibile.
Ieri mattina, svegliandomi per il secondo giorno di imbiancatura, l’umore non era il massimo.
Il fatto di non aver dormito granché bene non aiutava, ma il problema era altrove.
Stavo svegliandomi e mi ero “sacrificato” per fare qualcosa per me, per casa mia, con l’aiuto di un amico, quindi l’umore non era certo adeguato alla situazione.
Ho cercato di focalizzare e mi sono reso conto che il peso maggiore che sento e vivo è quello di, pur cercando di non pensarci, non avere la possibilità di svegliarmi un qualunque giorno col pensiero che sì, va tutto bene, non ci sono grossi problemi se non il vivere quotidiano.
Non che debba essere uno stato costante, figuriamoci, ma almeno ogni tanto sarebbe piacevole e per un lungo periodo non sarà così; non può esserlo e questo mi pesa, mi pesa molto e non mi aiuta a ricaricare le batterie quanto vorrei.
Diciamocelo, uno può cercare di distrarsi il più possibile, ma quando ti è capitato più volte di ricevere batoste a guardia abbassata e, per di più, sai bene che la situazione non è affatto risolta, beh, quel distrarsi diventa quasi un cercare di mentire a se stessi e l’effetto corroborante svanisce in fretta.
Eppure sto cercando di fare di tutto.
Vedere e sentirmi con gli amici (quelli che hanno voglia di esserci, ovvio), godermi i momenti con Miss Sauron, andare il più possibile al cinema all’aperto, anche andare alla notte delle lanterne (per quanto fallimentare sia stata).
Mi piace farlo?
Sì, molto.
Me li godo al 100%?
No, affatto.
Quindi? Situazione senza uscita?
Forse.
O forse no.
Perché ogni tanto ho bisogno di ricordarmi chi sono e in cosa credo. Ad esempio l’abusatissimo “vivi come ogni giorno fosse l’ultimo”, che pur essendo frase fatta o quasi, ha una verità intrinseca che ho sempre coltivato: se oggi fosse l’ultimo giorno, sarei contento di come l’ho vissuto? Avrei rimpianti o rimorsi? Sarei in pace?
E in giorno come questi, in cui il terrore rischia di farla da padrone, se proviamo a pensare a ogni singola persona uccisa in atti vari, quella domanda dovremmo (e dovrei) farcela più spesso. Farcela ogni giorno.
Sono soddisfatto di come ho vissuto questa giornata? O quella di ieri? O quella prima?
No, non lo sono.
Non lo sono perché permetto a problemi che comunque andranno affrontati domani di rovinare oggi.
Non lo sono perché ogni minuto che trascorro scordandomi il bello di ciò che vivo è un minuto sottratto alla mia vita regalato a chi è causa di tutto questo male.
Non lo sono perché anticipare un dolore non ci prepara a viverlo meglio e, anzi, ci toglie il piacere della sua assenza mentre non si è ancora manifestato, sempre che finisca per farlo.
Non lo sono perché promisi anni fa che io non sarei stato così.
Per cui, lo prometto, cercherò di fare del mio meglio.
Di godere oggi, di godere quel che ho, proprio perché domani potrei avere la metà o ancora meno, proprio perché ora c’è ed è bello ed è bello saperlo riconoscere.
Non è facile.
Non lo è mai.
Ma ci devo e voglio provare.
Me lo devo.