48. Allora, ci dici di Gaiman?
Seduto sul balcone a sperimentare il nuovo tavolino Ikea, approfitto finalmente per raccontare di giovedì sera.
Partiamo dai presupposti: la rivista New Statesman chiede a volte a vari personaggi di fare loro da “Guest Editor”, ovvero di occuparsi dei contenuti di un numero.
Nel numero in uscita il 28 maggio, i Guest Editor sono stati, appunto, Neil Gaiman e Amanda Palmer, con un argomento particolare “Dire l'indicibile”, ovvero censura, provocazioni, ecc…
Io ho avuto la fortuna di recuperare un biglietto in terza file in platea ed ecco finite la premesse.Per celebrare questo numero, la rivista ha anche proposto di organizzare una serata a teatro con entrambi e (cosa di cui non ero a conoscenza) alcune delle persone a cui hanno chiesto di contribuire per il loro numero.
Lo spettacolo, completamente sold-out, era previsto per le 19.30 con apertura delle porte alle 18.30. Io sono arrivato alle 18.15 per trovare già una coda notevole fuori, ma tutti tranquilli e contenti: d'altronde i posti erano assegnati e tutti erano in umore di festa.
La cosa particolare era il riuscire a riconoscere benissimo chi fosse allo spettacolo perché fan di Amanda Palmer e chi, come me, perché appassionato di Gaiman: sobri, al massimo con una maglietta in tema, i fan del mio scrittore preferito, colorati, eccentrici, uno diverso dall'altro quelli di sua moglie.
Io ero lì, felice come un bambino, ad ammirare chi mi circondava, lo splendido teatro, la vicinanza col palco.
In cosa è consistito lo spettacolo?
Su un salottino pieno di oggetti di vari tipi, Neil e Amanda hanno parlato, cazzeggiato, cantato, riso, sparato cazzate, improvvisato, presentato gli ospiti.
L'idea era quella di mantenere il concetto del “dire l'indicibile” e ci sono riusciti quasi sempre, ma alla fine il tutto è stata una scusa per raccontarsi.
Gaiman ha aperto lo spettacolo recitando un suo personale credo, parlando dell'importanza delle idee e dell'impossibilità di ucciderle, in pieno attacco a qualunque forma di censura.
Amanda ha poi cantato attaccando subito dopo di lui.
Ammetto che non l'avevo praticamente mai ascoltata (chiedo perdono ai suoi tanti fan) e quindi non sono molto in grado di dire che pezzi abbia suonato.
Quel che mi ha colpito è stata la sua energia, la sua voglia di darsi completamente attraverso la musica e la voce: sa donarsi sul palco e questo al pubblico arriva.
Dopo un po' di aneddoti, cazzate, frizzi e lazzi, Gaiman ha fatto ciò che solo Gaiman può fare.
Seguendo ancora il concetto di “dire l'indicibile” ha deciso di recitare il suo racconto che lui stesso (e io anni fa) ha sempre definito il più disturbante, l'unico che ancora lo inquieti quando lo legge: Babycake.
Cosa rende così particolare il suo averlo letto?
Babycake (scritto per una causa animalista) è un iperbole che parla di bambini utilizzati come adesso usiamo gli animali: per test, esperimenti, anche per nutrirsene.
Gaiman l'ha letto con sul palco sua moglie.
Incinta.
L'affiatamento tra i due lo si vede anche in questi casi, con lei che sul divanetto fa finta di coprirsi spaventata da ciò che lui legge e che alla fine si rivolge alla pancia dicendo “non dar retta a tuo padre”.
Non conoscevo gli ospiti (ho rimediato dopo, erano Hayley Campbell – autrice tra l'altro di un libro sull'arte di Gaiman, Roz Kaveneye – poetessa transessuale, Andrew O'Neill – comico che si definisce mago anarchico e Mitch Benn – comico, musicista e autore) e ammetto che l'accento di alcuni mi ha reso un po' difficile seguirli, ma l'impressione è stata di bravi artisti, provocatori, dissacranti, intelligenti: si è parlato di censura, di Charlie Ebdo (in vari momenti), di contraddizioni, di ciò che è accettato e ciò che non lo è solo per consuetudine.
Io non penso di riuscire a trasmettere davvero l'energia della serata.
Posso solo parlare di persone che amano raccontare, parlare e comunicare, non importa quale mezzo usino.
Di gente di spettacolo che si pone su un palco non tanto per farsi applaudire quanto per farsi avvolgere dal calore delle persone andate a vederle.
Che si sentono tra amici e si vede.
E, nel pubblico, tutti erano loro amici.
Lo spettacolo è sembrato improvvisato in più punti, con tanto di una sorta di breve chiacchierata sul divano tra tutti gli ospiti e i due host della serata, ma anche questo aspetto non è stato fastidioso come potrebbe accadere in altre situazioni, semplicemente era spontaneo, fatto da persone che sapevano avrebbero avuto cose da dire.
E ce le avevano.
Ce le avevano eccome.
La serata si è conclusa con due chicche.
Gaiman che ha cantato “I Google you” (geniale, qui lo vedete in un'altra esibizione) e Amanda che si è scatenata col suo “Ukulele Anthem”… peccato che dopo metà canzone le sia venuto un attacco di tosse e il marito sia intervenuto al microfono mentre lei beveva.
“Salve. Io sono lo scrittore. Non so far ridere. Però sul palco ci sono almeno due comici che potrebbero anche darmi una mano” (rivolto a O'Neill e Benn, che sghignazzavano facendo finta di nulla).
Momenti divertenti, seri, speciali, emozionanti.
Due ore e mezza sono volate.
La conclusione perfetta sarebbe stata riuscire a farmi autografare un libro.
Ero a buon punto per riuscirci: raggiunta la stage door mi sono messo ad aspettare assieme ad altre tre o quattro persone.
Purtroppo, però, i due hanno ritardato parecchio (sembra per un po' di dolori di Amanda) e alla fine mi sono ritrovato solo, a mezzanotte, al freddo dietro un teatro di Londra: ho deciso che fosse il caso di tornare in albergo dopo 21 ore e passa di veglia.
Peccato però.
Aggiungo, comunque, una cosa legata proprio all'attesa: quando sono arrivato alla stage door c'erano due donne in piedi, Mitch Benn e una donna affetta da evidente disabili su una carrozzina elettrica.
Questa donna si era sentita offesa per una battuta di Andrew O'Neill che, per provocazione, aveva utilizzato i disabili mentali in un'iperbole. L'iperbole era evidente, non c'è dubbio su questo, ma è altrettanto indubbio che chi si sente chiamato in causa possa (e forse debba) rimanerci male.
Ecco, questa donna era al backstage perché voleva parlare con O'Neill (che è sceso, ma tardi, purtroppo; faceva freddo e la donna era ormai andata via): quel che mi ha affascinato è stato vedere queste quattro persone che per almeno un'ora si sono confrontate sull'argomento, spiegando i punti di vista, ascoltando, cercando di capire e farsi capire.
In un backstage alle undici di notte.
Al freddo.
E niente, io per queste cose, posso amare un popolo.
E forse un po' lo amo.
PS: Purtroppo non era possibile scattare foto, ma Amanda Palmer ha pubblicato questa sul suo profilo e la condivido qui sopra.
Grazie Neil. Grazie Amanda. Grazie Londra.