New York (Il romanzo)

In vista della prossima partenza per la mia amata Grande Mela, ho deciso di immergermi in un mood adeguato dedicandomi alla lettura del non esile romanzo di Edward Rutherfurd.
“New York” non è un saggio sulla storia della città, non è una semplice sequenza di vicende lì ambientate, ma è la storia di chi quella città l’ha fondata, vissuta, vista crescere, crollare, rinascere.
Non si tratta neanche di un’unica storia, se vogliamo, ma di squarci più o meno lunghi sulle vite di alcuni personaggi, famiglie, stirpi, nel corso dei secoli, da quando il nome della città era Nuova Amsterdam, fino al 2009, data dell’epilogo.
Il racconto si concentra su vari momenti storici, visti non dallo sguardo del narratore, dello storico super partes, bensì da quello di un cittadino comune o, meglio, di un cittadino agiato: c’è da sottolineare infatti che le famiglie principali che fanno da linea portante dell’intero volume hanno origini agiate (commercianti) o aristocratiche, quelle che alla fine verranno chiamate “old-money”.
Lo sguardo rivolto ai poveri, agli schiavi, alle minoranze è presente, ma sicuramente in percentuale nettamente inferiore e spesso dall’occhio dei personaggi principali.Superata, comunque, questa pecca (che in alcuni capitoli è però piuttosto irritante), la forza del romanzo sta nella visione d’insieme.

La città cresce intorno a popolazione che cambiano, si evolvono, a volte involvono.
Olandesi, Inglesi, Indiani, Schiavi, Liberti, Cristiani, Protestanti, Ebrei e poi, a seguire, Italiani, Portoricani: una fusione di credenze, etnie, vite dal potere esplosivo, ma anche dall’enorme carica umana che poche altre città anno.
E noi la vediamo crescere.
Dalle paludi ai villaggi, dalle ville ai condomini.
Quartieri elitari che diventano malfamati, zone abbandonate che diventano di moda.
E vediamo i momenti di crisi, della città e dell’intero paese: la guerra d’indipendenza, quella di secessione, le rivolte sociali, gli incendi, le condizioni di lavoro assurde, i crolli in borsa, l’11 settembre.

Li vediamo e, potere dell’autore, sappiamo che stanno per avvicinarsi e ci chiediamo cosa accadrà ai personaggi.
Vorremmo avvertirli, vorremmo intervenire, vorremmo dire loro che tutto andrà bene o che stanno rischiando più di quanto credano.

In realtà un personaggio principale onnipresente c’è, città a parte, e compare in vari momenti, inaspettato eppure sempre accolto come un vecchio amico: una piccola cintura di Wampum che compare nel primo capitolo e che sparirà definitivamente solo il giorno del crollo delle Torri, come a chiudere un’epoca e a iniziarne una nuova.

Leggendo “New York” vediamo la storia con gli occhi della vita e ci entriamo dentro quasi da voyeur; quando ne usciamo siamo forse un po’ più ricchi, forse vorremmo sapere molto di più di certi personaggi, ma soprattutto vorremmo che il romanzo si arricchisse di nuovi capitoli anno dopo anno, perché la storia di New York, la nostra storia, non si ferma mai.

E in realtà il romanzo davvero si arricchisce giorno dopo giorno.
Lì fuori: basta guardare.

Io, tra poco, torno a viverlo in diretta.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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