Un regno in ombra
Da parecchio (e per “parecchio” parlo di anni, non di mesi) avevo intenzione di dare una possibilità a China Mieville, autore di cui avevo sentito parlare splendidamente. Dato, però, che i suoi romanzi più osannati appartengono a una trilogia, mi ero procurato il suo primo lavoro, così da avere un assaggio delle sue capacità: finito in coda di lettura era rimasto in attesa fino a qualche giorno fa.
Sulla carta il romanzo doveva essere piuttosto interessante, nonché appassionante: una sorta di versione molto dark e cruda di Neverwhere con commistioni di vari generi.
Un giovane torna a casa a Londra dopo alcuni giorni e scopre che il padre è stato ucciso e che lui, in realtà, non è chi pensa di essere. Portato in prigione come primo sospettato dell’omicidio, viene infatti tratto in salvo da una creatura umanoide che si fa chiamare Re Ratto e che gli rivela di essere imparentato con lui, mostrandogli un mondo sotterraneo di cui non poteva (e forse voleva) essere a conoscenza.
Queste le basi, su cui non mi sbilancio oltre per non fare spoiler.
Il problema è il romanzo in sé.
Si deve dare atto a Mieville di avere uno stile interessante, diretto ma descrittivo, che permette in alcuni momenti di superare varie pecche, ma le pecche ci sono e si sentono. Personaggi ben poco approfonditi, alcuni francamente inutili allo svolgimento della trama, descrizioni fin troppo dettagliate (mi spiace, sig. Mieville, ma lei non è Tolkien, se ne faccia una ragione… e considerando che accusò Tolkien di essere reazionario magari studi anche un po’ di più), un protagonista con cui non si entra mai in sintonia, scene crude per il solo gusto di esserlo, un antagonista sicuramente interessante ma del quale non si comprendono le reali motivazioni e poi la musica.
Sì, la musica, che se utilizzata bene è un gran supporto alla storia, qui fa tappare il naso e cercare di tirare avanti.
Mieville utilizza la “jungle disco”, qualunque cosa sia, come “personaggio” aggiuntivo di buona parte del romanzo.
E la descrive.
Dettagliatamente.
Molto dettagliatamente.
Tanto dettagliatamente che un qualunque appassionato ne sarà uscito, probabilmente, estasiato.
Peccato che, come accennavo qui sopra, io neanche sapessi cosa fosse e che, per come viene descritta, non mi sia neanche venuta la voglia di scoprirla: l’unico effetto è stato quello di sentirmi distaccato da alcuni dei momenti che, nelle intenzioni dell’autore, dovevano essere più coinvolgenti.
Altre cose ci sarebbero da dire, ma evito per non cadere nello spoiler.
Quindi bocciato del tutto? No, non del tutto. Come dicevo si tratta di un’opera prima e, in quanto tale, alcuni aspetti si possono perdonare. Il romanzo si legge comunque abbastanza bene e questo non può che essere un pregio. Molti dicono che i libri successivi siano migliori, per cui forse, tra un (bel) po’ di tempo gli darò un’altra possibilità.