Un albero cresce a Brooklyn
Quando ho deciso di comprare (e leggere, anche se dopo un anno) “Un albero cresce a Brooklyn” non avevo idea che fosse un romanzo considerato un classico negli Stati Uniti, fatto leggere anche nelle scuole alla pari dei libri di Mark Twain; per me si trattava “solo” di un libro letto ed apprezzato da due amiche ed, in quanto tale, meritevole di attenzione.
Ed effettivamente, degno di attenzione, questo libro lo è eccome: non perché narri una vicenda epica, non perché colpisca la fantasia o tenga col fiato sospeso in attesa di chissà quale colpo discena, assolutamente no; l”attenzione è motivata dalla vita vera, dalla vita di inizio ventesimo secolo nei quartieri più poveri di Brooklyn, dalla lotta per la sopravvivenza prima e per la crescita poi di una famiglia come tante altre in un mondo che non regalava nulla a nessuno.
E’ la storia di una ragazza nata in questo mondo, una bambina abituata a lottare, coi genitori e col fratello, contro la fame, la povertà ed il freddo eppure, una volta cresciuta, conscia della fortuna avuta nel venire allevata dalla propria famiglia; è una storia di sogni, di illusioni, di tenerezza, di dolori, di risate, di vita e di morte.
E’ la storia di una ragazza e della sua famiglia, ma è la storia di tanti, tanto lontana da noi nell”ambientazione quanto vicina nelle emozioni che si leggono e vengono trasmesse.
Tanti i momenti in cui possono inumidirsi gli occhi od incresparsi le labbra e tanti i passi che si vorrebbe portare con sé.
Uno per tutti:
“Concedimi di essere qualcosa in ogni istante di ogni ora della mia vita. Fammi essere felice o triste; fa che io abbia caldo o freddo; che abbia poco o troppo da mangiare; che sia vestita elegantemente o con degli stracci, affidabile o bugiarda, degna di stima o peccatrice. Ma concedimi sempre di essere qualcosa in ogni istante. E concedimi pure di sognare quando dormo, in modo che non vi sia un solo momento della mia vita che vada perduto”